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Rupzo

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Parapsicologia, Scienze Occulte ed Esoterismo.

Rapporti tra Scienza, Parapsicologia e Psicotronica

Rapporti tra Scienza, Parapsicologia e Psicotronica

Giugno 18, 2021 by Rupzo Lascia un commento

Psicotronica, Parapsicologia e Scienze Fisiche: in che modo interagiscono tra loro questi mondi della cultura dell’Uomo in apparenza molto distanti?

I progressi delle scienze fisiche, parapsicologiche o psicotroniche, tanto in Occidente quanto in Unione Sovietica ed in Oriente, hanno svelato in modo del tutto inaspettato la natura immateriale del mondo fisico.

D’altro canto, e anche qui andando contro le aspettative di molti, il mondo della psiche rivela ogni giorno di più una natura sempre meno immateriale.

Lo studio scientifico dei fenomeni attinenti la parapsicologia o la psicotronica fa sempre più ricorso a nozioni di fisica per misurare i differenti campi magnetici, elettromagnetici e psicotfonici messi in evidenza nel corso degli esperimenti realizzati in laboratorio.

Apparecchi di misura sempre molto precisi, come gli elettroencefalografi ad altissima sensibilità, hanno rivelato l’esistenza di nuovi campi magnetici legati al corpo umano.

Lo studio sempre più raffinato dei processi psichici propri agli esseri viventi chiama in causa costantemente fenomeni che appartengono sia alla meccanica quantistica, sia ai comportamenti delle particelle elementari della materia, sia ai livelli sub-quantici.

I lavori di alcuni scienziati sovietici del passato, tra i quali il professor Yury A. Cholodov, specialista di neurofisiologia, hanno messo in luce la funzione dei campi magnetici ed elettromagnetici nei processi psichici.

Le ricerche di A.P. Dubrov, dell’Istituto di Fisica Terrestre dell’Accademia delle Scienze di Mosca, hanno pure messo in evidenza l’esistenza di nuovi campi: si ttatta precisamente dei campi bio-gravitazionali presenti nella maggiot parte delle funzioni psichiche.

Scienziati di fama mondiale stanno studiando la possibilità di affrontare i fenomeni della parapsicologia e della psicotonica utilizzando la meccanica quantistica e le più avanzate teorie di fisica nucleare. Tra questi, citiamo il professote C.T.K. Chari, del Madras Christian College, che sta compiendo ricerche sulle relazioni intercorrenti tra la parapsicologia, la teoria dei quanti e le nuove teorie relative all’informatica.

Analoghi lavori vengono portati avanti dallo scienziato inglese V.A. Firsoff, membro della Royal Astronomical Society, che studia i legami esistenti tra la parapsicologia, la teoria dei quanti e la natura del processo vitale negli organismi viventi. Infine, ricerche molto simili vengono compiute anche dal matematico francese O. Costa de Beauregard, dell’lnstitute Henri Poincaré di Parigi.

Per queste ragioni è indispensabile che chiunque voglia occuparsi di parapsicologia e di psicotronica conosca alcune nozioni basilari sulla natura dei componenti elementari della materia: atomi, molecole, elementi internucleari e teoria dei quanti; per questi motivi abbiamo cercato di fornite, in quwesto lungo post, una sintesi molto sommaria di tali argomenti, visti con un’ottica abbastanza differente ma complementare a quella utilizzata dalla fisica classica che considera aprioristicamente l’universo materiale quale unica realtà fondamentale.

Verso una nuova fisica: la costituzione della materia

L’attento studio della fisica, scienza della materia per eccellenza, porta come risultato abbastanza paradossale la dematerializzazione del mondo materiale. Esso ci svela la relatività e la fragilità delle nostre percezioni sensoriali. Basta con l’immobilità, la solidità, gli oggetti isolati: tutto è in movimento, ogni cosa si trasfor-ma. ogni oggetto è pane di un tutto. Gli oggetti più inerti e i più solidi si spogliano della loto apparente operosità. L’opposizione netta, gli antagonismi, l’apparente differenziazione tra gli esseri e tra le cose alla loro superficie sfumano di fronre alla sostanziale unità delle proprietà intime stranamente non materiali del mondo materiale.

Un confronto delle memorie di fisica nucleare pubblicate tra il 1960 e il 1975, relative alle componenti elementari della materia, può rendere immediatamente edotti dell’importante rivoluzione subita dalla scala dei valori utilizzata nella definizione dell’essenza del mondo fisico.

Allo stesso modo, possiamo rapidamente comprendere quanto siano ampiamente imperfetti e impotenti il nostro linguaggio e il nostro pensiero quando tentano di rappresentare l’esatta natura della materia elementare che costiruisce l’essenza del mondo materiale. Ci scopriamo totalmente prigionieri della logica greca classica, troppo condizionati dall’apparente solidità dell’aspetto esterno delle cose: il nostro modo di pensare e il nostro linguaggio ne sono irrimediabilmente condizionati.

L’influenza di questi pregiudizi che agisce a liveiio conscio, e ancor più a livello inconscio, è considerevole e noi forse non ce ne rendiamo del tutto conto. Il maggior merito dei recenti progtessi delle scienze fisiche sta proprio nella capacità di avet concentrato la nostra attenzione su tale insufficienza di linguaggio.

Lo scrittore Sydney Hook la presenta in questo modo: «Nel costruire il suo schema delle categorie, che gli presentava la grammatica riferita all’esistente, Aristotele non faceva altro che proiettare sul cosmo la grammatica della lingua greca. Dobbiamo invece creare un linguaggio completamente nuovo, che non utilizzi più parole fatte a immagine delle sole percezioni dei sensi. E in cima alla lista delle espressioni di uso correnre private del loro senso è la parola “materia”».

Si potrà interamenre apprezzare la ragionevolezza di un’affermazione cosi audace se si vorrà meditare sulle dichiarazioni dei più eminenti fisici contemporanei a proposito dell’esatta natuta della materia.

Il fisico americano Henry Margenau, professore di fisica all’Università di Yale, scriveva: «Verso la fine del secolo scorso, si era giunti alla conclusione che qualsiasi interazione richiedesse la presenza di oggetti materiali. Oggi, non è più così… Sappiamo che esistono campi non materiali. Le interazioni srudiare dalla meccanica quantistica relative ai campi fisici psi (è interessante e forse divertente rilevare che la funzione psi dei fisici ha in comune con quella della parapsicologia un vago carattere di astrazione) sono completamente non materiali, e malgrado ciò vengono descritte dalle equazioni fondamentali della moderna meccanica dei quanti».

Lo scrittore Arthur Koestler, che ebbe il privilegio di frequentare a lungo eminenti fisici come Schròdinger e David Bohm, afferma nella sua interessante opera Le radici del caso: «Nel cosmo di Einstein come pure nel microcosmo infra-atomico, prevalgono gli aspetti non sostanziali; in entrambi la materia si dissolve in energia e l’energia in configurazioni mobili di un qualcosa che non conosciamo. Eddington lo spiega in poche parole: il cemento dell’universo è mentale.

L’apparenza solida delle cose esiste soltanto nel nostro mondo intermedio, che si misura in metri e chilogrammi. Su scala nucleare, questa relazione puramente tattile non è altro che illusione».

L’espressione «il cemento dell’universo è mentale» potrebbe originare malintesi.

Infatti la parola «mentale» evoca un intervento della mente, mentre l’essenza dell’universo è costruita con materiali che non sono assolutamente rappresentabili con la nostra mente: essi sfuggono a qualsiasi tentativo di concettualizzazione che segna le regole generalmente ammesse.

Le sole spiegazioni valide dovrebbero ispirarsi a valori legati ad altri piani cosmici esistenti in universi paralleli. E ancora, occorrerebbe inventare un linguaggio nuovo che fosse depurato dalle deformazioni provocate dai nostri antropomorfismi e dalle nostre percezioni sensoriali.

Il fisico francese G. Cahen fa dal suo canto una dichiarazione interessante per i parapsicologi: «L’esame accurato dei fenomeni confrontato al contenuto immediato delle nostre percezioni presenta due caratteri ben evidenti. Da un lato, questo processo rivela un’identità tra l’essenza dell’intelletto e quella dell’universo. D’altro canto, il contenuto viene a svuotatsi progressivamente della sua sostanza apparente: la materia stessa tende a diventare nient’altro che un guscio vuoto, il campo d’azione delle proprietà strutturali del nostro spirito, cioè qualcosa di immateriale. Esprimiamo così nella forma più esasperata la tendenza ultima della scienza: la riduzione della realtà al vuoto. Vuoto che non coincide con il non-essere; ma è, al contrario, l’essere più completo perché contiene potenzialmente l’universo».

Perciò riteniamo che un esame sia pur sommario delle conoscenze della fisica moderna costituisca una delle migliori introduzioni allo studio della parapsicologia.

Molecole, atomi e costituenti del nucleo atomico

I fisici ritengono che la materia costituente l’universo sensibile sia composta dai seguenti elementi:
1. frazioni di materia apparentemente autonome e dotate di carica elettrica positiva: sono definite ioni positivi;
2. frazioni di materia apparentemente autonome e dotate di carica elettrica negativa: sono gli ioni negativi, in particolare gli elettroni;
3. materia composta e organizzata risultante dalla giustapposizione di ioni positivi e ioni negativi, che formano le molecole.

Nella generalità dei casi, le molecole non possono esistere a temperature superiori ai 10.000°C: oltre tale temperatura, si hanno solamente ioni. Lo studio del comportamento degli ioni, dei componenti subionici, delle loro trasformazioni e dei rapporti reciproci è oggetto della fisica nucleare. Lo studio del comportamento delle molecole è oggetto della chimica e della fisica classiche.

L’universo è composto da corpi siderali provvisti di una propria sorgente di energia: si tratta delle stelle. Altri corpi siderali assorbono l’energia irradiata dalle stelle: sono i pianeti. Al di fuori del nostro sistema solare, lo studio dei pianeti che ruotano attorno ad altre stelle non è realizzabile ad eccezione del ristretto gruppo di fenomeni relativi agli effetti gtavitazionali.

Un vasto settore dell’astronomia è retto dalle leggi della fisica nucleare, mentre lo studio del sistema solare può esser svolto tenendo presenti le equazioni della fisica classica. Questo fatto è indicativo dell’importanza che riveste lo studio della fisica nucleare per una comprensione adeguata della natura dell’universo.

La sostanza della maggior parte dei corpi che conosciamo per esperienza diretta, quali il legno, la carta, i mattoni, il cemento, l’acqua del mare, le cellule e il sangue è costituita da miscugli complessi ed eterogenei.

La loro varietà è praticamente illimitata. Queste sostanze complesse, infinitamente diverse fra di loro, sono costituite da una miscela di corpi puri la cui minima frazione è rappresentata dalla molecola. L’acqua degli oceani è un miscuglio di corpi puri come il sale (cloruro di sodio, NaCl), l’acqua (in chimica H20) e numerose sostanze presenti anche in minima traccia.

La molecola di un composto puro (come il cloruro di sodio, l’acqua pura, lo zucchero) rappresenta il più piccolo campione di tale composto (vedere figura in questa pagina). Essa costituisce la più piccola frazione del composto che ancora ne mantenga tutte le proprietà. Una scissione ancora più spinta varierebbe le proprietà specifiche della molecola, rivelando le caratteristiche degli atomi che la compongono.

Allo stato attuale delle conoscenze fisico-chimiche sono noti circa quattro milioni di differenti tipi molecolari. Le molecole più semplici appartengono alla chimica inorganica, come la molecola dell’acqua (H20), ottenuta dalla combinazione di tre atomi, due di idrogeno e uno di ossigeno. Le molecole più complesse si incontrano nel mondo organico, cioè il mondo degli esseri viventi. Esse sono costituite anche da decine o addirittura da centinaia di migliaia di atomi, come nel caso dei supporti della memoria: gli acidi desossiribonucleici (DNA) e ribonucleici (RNA) ecc.

Le molecole non sono in contatto diretto fra loro; i vuoti intermolecolari sono le sedi della maggior pane dei fenomeni fisici, delle affinità chimiche e dei processi vitali.

La struttura degli atomi

Le molecole sono costituite dalla combinazione di atomi. I quattro milioni circa di tipi molecolari si ottengono dalle combinazioni di circa un centinaio di atomi, il 96% dei quali è presente in natura, mentre i rimanenti (Pu, Bk ecc.) possono essere ottenuti soltanto mediante operazioni di laboratorio. Gli atomi più conosciuti sono l’idrogeno, l’ossigeno, il carbonio, il ferro, l’azoto, il calcio, il sodio, il silicio, lo zolfo, il cloro, il mercurio, il piombo, l’oro, il platino, l’uranio ecc.

L’atomo più semplice è quello di idrogeno: esso è formato da un nucleo dotato di carica elettrica positiva attorno al quale ruota un solo elettrone, detto elettrone orbitale in virtù dell’analogia con i pianeti ruotanti in orbita attorno al Sole. Fra gli atomi più complessi citiamo l’uranio e gli elementi transuranici, alcuni dei quali sono stati ottenuti artificialmente.

Mentre l’atomo di idrogeno è formato da un nucleo comprendente un solo protone e da un elettrone negativo, l’uranio, nella sua forma più diffusa, ha una struttura enormemente più complessa. Il suo nucleo è costituito da 146 particelle elettricamente neutre, chiamate neutroni, e da 92 particelle con carica elettrica positiva, dette protoni. Anziché da un solo elettrone, come nell’atomo di idrogeno, l’atomo di uranio è circondato da ben 92 elettroni negativi distribuiti in 7 strati successivi, che formano un robusto guscio protettivo. Esistono altre varietà di uranio che posseggono un numero leggermente diverso di neutroni.

Nella storia, in molti hanno tentato di rappresentare mediante modelli la struttura del sistema atomico: il più noto di tali modelli è quello dovuto a Niels Bohr.

Vedremo che rappresentazioni così limitate e schematiche delle particelle atomiche sono totalmente sorpassate. Gli atomi hanno dimensioni estremamente ridotte. Se ne dovrebbero mettere in fila più di cinquanta milioni per occupare lo spazio di un millimetro. Occorre tener presente un altro fatto molto importante: essi occupano solo una pane infinitesima del volume dei corpi, dei quali tuttavia sono gli elementi costitutivi.

All’interno dei corpi apparentemente più compatti e solidi, gli spazi vuoti, fatte le dovute proporzioni, sono altrettanto considerevoli che nello spazio interstellare. Citiamo un esempio fornito dai fisici: se si rappresenta il nucleo di idrogeno con una palla da tennis posta al centro di place de la Concorde a Parigi, occorre arrivare alla periferia di Orléans per incontrare il corrispondente demone.

Nel suo libro Dall’atomo alla stellali], Pierre Rousseau scrive che se si comprimessero i nuclei degli atomi che costituiscono la massa di un uomo pesante 70 chili, eliminando gli spazi vuoti internucleari, il volume risultante si ridurrebbe a un pulviscolo simile a quello che rivelano sottili raggi di sole che entrano in una stanza buia: tuttavia questo pulviscolo peserebbe ancora settanta chili.

Gli elettroni e i nuclei degli atomi posseggono proprietà e svolgono funzioni molto differenti. Gli elettroni conferiscono alle sostanze le loro proprietà chimiche specifiche.

Tutti i corpi sono costituiti dagli stessi elettroni: variano solo nel numero e nella disposizione. Un elettrone in più o in meno nel gran numero degli elettroni orbitali ruotanti attorno al nucleo centrale può conferire alla sostanza che lo contiene l’aspetto di metallo brillante come l’argento o quello di un metallo rossastro come il rame o giallo come l’oro, oppure l’aspetto di un gas verdastro e irrespirabile come il cloro.

La massa degli elettroni è di circa due millesimi rispetto a quella del nucleo dell’atomo di idrogeno. La quasi totalità della massa dell’atomo è concentrata nel suo nucleo centrale. L’esatta natura degli elettroni, come pure quella di tutte le altre particelle subatomiche sfugge a qualsiasi possibilità di rappresentazione. Ne parleremo ancora in seguito, ma segnaliamo fin d’ora che, a causa della loro vertiginosa velocità di rotazione attorno al nucleo, gli elettroni occupano praticamente tutto l’anello rappresentato dalla loro orbita.

Il mistero del nucleo atomico

L’atomo, contrariamente a quanto farebbe supporre la sua etimologia, può essere spezzato. I nuclei atomici contengono una quantità di particelle misteriose che prendono parte ad affascinanti vicende. Tra i componenti del nucleo, detti particelle subatomiche, non esistono solamente i neutroni e i protoni. Altre particelle, chiamate “pioni” o “mesoni pi” svolgono funzioni di enorme importanza. La loro scoperta discende da un’ipotesi avanzata nel 1935 e verificata sperimentalmente nel 1947 e nel 1933.

È necessaria a questo punto una sommaria spiegazione che permetta di comprendere quali siano il ruolo e il comportamento dei pioni. È noto che corpi dotati della stessa carica elettrica si respingono, che tale repulsione è tanto più violenta quanto più essi sono vicini e che è proporzionale alla loro massa.

Ebbene, tutti i nuclei atomici dei corpi pesanti contengono un numero considerevole di protoni carichi positivamente e dotati di una massa enorme. I fisici, per lungo tempo, si sono posti la domanda: come mai i nuclei atomici dei corpi pesanti non esplodono spontaneamente a causa dell’enorme forza di repulsione che dovrebbe normalmente esistere tra i componenti del nucleo atomico?

Il fisico giapponese Yukawa, nel 1935, ha avanzato per primo l’ipotesi che esista all’interno del nucleo una forza di legame in grado di neutralizzare la repulsione fra i protoni. Tale forza di legame sarebbe prodotta da uno scambio intenso di una particella, il pione appunto, che si muoverebbe ininterrottamente ad altissima velocità tra i protoni e i neutroni. A un ritmo di parecchi miliardi di volte al secondo, i protoni perdono un pione positivo e diventano neutroni, mentre i neutroni diventano protoni e, contemporaneamente, pioni neutri e negativi partecipano ad analoghi scambi, la cui intensità sfugge a qualunque possibilità di immaginazione.

L’armonia d’insieme del nucleo viene in tal modo mantenuta. Il fisico Eddington ha paragonato il ruolo del pione all’interno del nucleo a quello del pallone nella pallavolo, che tiene legati a sé gli sguardi di tutti i giocatori. L’esistenza ipotetica dei pioni è stata confermata sperimentalmente nel 1947: i fisici C.F. Powell, G. Occhialini e C.M. Lattes hanno effettivamente riscontrato la presenza dei pioni nel corso dei loro lavori sui raggi cosmici, compiuti all’Università di Bristol.

La massa del pione corrispondeva a quella prevista da Yukawa: 260 volte quella dell’elettrone, cioè 260 me, ove con me si indica la massa dell’elettrone.

All’interno del nucleo esistono numerose categorie di pioni; la loro massa a riposo oscilla tra 260 e 968 me. La loro vita è generalmente assai breve e varia tra 4 x IO-16 e IO-8 secondi. Si conoscono attualmente oltre 200 particelle subatomiche, alcune delle quali hanno vita talmente breve (dell’ordine di 10—20 secondi) che vengono chiamate “risonanze”. Quasi tutte queste particelle sono accompagnate da antiparticelle.

La maggioranza dei fisici pensa che tutte queste particelle siano singole emanazioni di un’energia fondamentale piuttosto che vere e proprie particelle individuabili. Col passar del tempo, il nucleo atomico si rivela sempre più complesso e sorprendente.

Tutto quanto si è detto finora non è espressione di alcuna realtà oggettiva: si tratta piuttosto di modelli creati dalla nostra mente e sviluppati secondo la nostra logica. Essi però non sempre sono completamente soddisfacenti dal punto di vista delle verifiche fisico-matematiche e sperimentali cui vengono sottoposti. Ma, per quanto fragili, queste ipotesi costituiscono attualmente la sola possibilità di uscire dall’impasse in cui si sono venuti a trovare i fisici in seguito alle ultime scoperte della fisica nucleare

Oltre i protoni e i neutroni.

I protoni, ai quali i fisici avevano attribuito una certa omogeneità, sono invece costituiti anch’essi da elementi sub-protonici, che sono stati scoperti al CERN (Centro Europeo di Ricerche Nucleari) di Ginevra, nel 1974. I lavori degli americani Geli-Mann, G. Zweig e dell’israeliano Yuval Neeman avevano già portato necessariamente all’ipotesi che mesoni, protoni e neutroni fossero a loro volta costituiti da sub-particelle.

Le esperienze realizzate dal febbraio al maggio 1973, con l’acceleratore di particelle del CERN, hanno fornito una conferma sperimentale a queste ipotesi.

Si pensava che il comportamento del protone rimanesse costante anche aumentando la sua velocità. Invece, contrariamente alle previsioni dei fisici (che si fondavano sulla presuma omogeneità del protone), la zona d’influenza di quest’ultimo si accresce aumentando l’intensità dell’energia che lo investe. Tale aumento costituisce indirettamente un effetto della complessità di struttura del protone. Esso si comporrebbe di tre quark* (termine preso da un romanzo fantascientifico), chiamati nark, park e lark.

Un numero sempre crescente di fisici incomincia a pensare che i protoni e i neutroni dovranno cedere il campo, in quanto componenti elementari del nucleo, ai quark.

A Stanford, California, lo studio della natura dei protoni e dei neutroni ha rivelato l’esistenza, all’interno di ogni protone, di un numero molto ridotto di centri di diffusione. Il fisico americano Richard Feynmann, Premio Nobel per la Fisica, ha proposto il nome di partorii per indicare questi componenti sub-protonici o sub-neutronici.

Ai fisici J.D. Bjorken e E.A. Paschos si deve la proposta di un modello rappresentativo della struttura interna dei protoni. Secondo tale modello ogni protone sarebbe costituito da un nucleo formato da tre quark circondati, ciascuno, da un insieme di “mesoni virtuali”, ogni mesone essendo costituito da una coppia quark-antiquark: «Sulla base di questo modello — scrivono Bjorken e Paschos — si può prevedere l’esistenza di una nuova particella, il gluone, che avrebbe, all’interno del protone, lo stesso ruolo che hanno i pioni tra i protoni e i neutroni all’interno del nucleo atomico».

In un’interessante memoria pubblicata il 30 ottobre 1974 su La Lanterne, lo scienziato belga Leon Van Hove, (Premio Max Planck e ricercatore presso il CERN), conferma la fondatezza delle ipotesi del Premio Nobel Murray Geli-Mann: «…gli americani hanno realizzato l’intersezione di fasci di elettroni su protoni allo scopo di localizzare l’interazione magnetica. Il risultato di tale esperienza è stato determinante: la carica elettrica si ripartisce su tre componenti secondo le proporzioni previste da Geli-Mann. Ed eccoci così ritornati ai quark, ma per una via completamente differente. D’altra parte, le collisioni tra protoni ed elettroni hanno pure rivelato che la metà dell’energia portata dai protoni ha sede in un elemento sconosciuto. Essa avrebbe lo scopo di tenere assieme i tre componenti e sarebbe analoga all’interazione forte che lega i protoni e i neutroni all’interno del nucleo. Per questa ragione, è stata definita colla adronica».

Poco sopra abbiamo utilizzato il termine gluone impiegato anch’esso da certi fisici per indicare la nozione di “giù” o colla. Il termine adronico viene da adrone e richiama le interazioni forti.

Nel seguito dell’articolo il professor Van Hove dichiara: «Al CERN, dopo aver bombardato i protoni con neutroni, abbiamo potuto verificare che le manifestazioni dell’interazione debole sono localizzate sui tre componenti: questo risultato è ancora in accordo con la teoria dei quark. Proiettando protoni contro neutroni, i fisici del CERN hanno potuto dimostrare che la colla adroni-ca (i gluoni) reagiva più energicamente dei tre componenti quando veniva sottoposta a interazioni forti. Queste “colle” possono agglomerarsi e trasformarsi in altre particelle. A questo punto, possiamo confermare che tutti gli adroni sono ottenuti dalla giustapposizione di tre componenti e di una quantità indeterminata di quanti di “colla”. I tre componenti, i quark, sono immersi in un bagno di “colla”: essi sarebbero almeno venti volte più piccoli dei protoni. Ma ancora rimangono numerose lacune, legate alla determinazione della forma e delle dimensioni esatte di questi componenti. Tuttavia, è di fondamentale importanza aver ritrovato i quark di Geli-Mann per una via sperimentale completamente diversa ed aver incominciato a far luce su un’immagine unificata della materia».

Il neutrino

L’importanza del sovvertimento di valori provocato dalle scoperte della fisica moderna può essere interamente apprezzata se accordiamo un po’ di attenzione alla sorprendente natura delle particelle scoperte recentemente.

Le loro proprietà e il loro comportamento sono non soltanto diversi, ma addirittura completamente opposti a tutto quanto siamo abituati ad osservare e a rilevare con i nostri sensi nella vita quotidiana.

Non v’è perciò da stupirsi che numerosi fisici vengano, in maniera del tutto naturale, portati ad accettare ipotesi che associano le proprietà non materiali di cene particelle e l’importante funzione che esse potrebbero svolgere nei fenomeni psichici. Ne descriveremo qui di seguito qualcuna tra le più strane.

Prima di parlare del neutrino, una di queste singolari particelle, occorre ricordare che il principio di conservazione dell’energia costituisce una delle basi della fisica. Tuttavia, le misure estremamente precise compiute nel 1927 dai fisici CD. Ellis e W.A. Booster sui raggi beta prodotti dalla disintegrazione del radio sembravano smentire tale principio.

Lo studio di questa anomalia suggerì allo scienziato austriaco Wolfgang Pauli, Premio Nobel, l’ipotesi che esistesse una particella neutra sconosciuta. A partire dal 1930, il fisico italiano Enrico Fermi, anch’egli Premio Nobel, diede a questa particella il nome di neutrino.

La prova diretta dell’esistenza del neutrino è stata però raggiunta con sicurezza solamente nel 1953. In quell’anno i fisici Clyde L. Cowan e Frédéric Reines ne evidenziarono la presenza nel corso di una serie di esperimenti realizzati mediante la pila atomica della Commissione per l’Energia Atomica di Savannah River (USA).

Il neutrino non possiede nessuna delle proprietà fisiche proprie alla maggioranza delle altre particelle: non ha né massa, né carica elettrica, né campo magnetico. Per queste ragioni, può penetrare con estrema rapidità nei corpi senza che le particelle che li costituiscono possano attirarlo, respingerlo, o catturarlo. I neutrini possono attraversare la Terra o un pianeta gigante come Giove per tutto il loro spessore come se fossero spazio vuoto, senza perdere la minima quantità di energia. Per questi motivi, d’altronde, è stato così difficile rilevarlo.

Da oltre vent’anni il fisico americano R. Davis, dei laboratori di Brookhaven, tenta di rivelare i neutrini provenienti dalle reazioni nucleari che avvengono all’interno del Sole. Allo scopo di evitare che i rivelatori di neutrini siano disturbati dalle perturbazioni provocate da altre particelle provenienti dallo spazio, R. Davis ha piazzato un enorme serbatoio contenente parecchie centinaia di tonnellate di percloroetilene in fondo ad una miniera d’oro abbandonata, alla profondità di 1500 metri.

Ricordiamo infine che anche il neutrino, come la maggior parte delle particelle, ha il suo opposto: l’antineutrino, che compare in gran quantità nel corso delle reazioni nucleari.

I monopoli magnetici

Con i “monopoli magnetici” siamo ancora nel campo delle ipotesi. Si deve a P. Dirac, che la formulò nel 1930, l’ipotesi che esista una particella elementare delle interazioni magnetiche.

Ad essa viene dato il nome di “monopolo magnetico”. Secondo Dirac i monopoli magnetici eserciterebbero un’azione energetica molto più forte di tutto il gruppo delle cosiddette interazioni forti, cioè i protoni, i mesoni ecc.

Secondo recenti ipotesi, la massa del monopolo magnetico sarebbe parecchie volte superiore a quella del protone. Per il momento, l’esistenza del monopolo magnetico non è ancora stata confermata sperimentalmente.

I tachioni

I laboratori di fisica di tutto il mondo si stanno impegnando da molti anni in una serie di esperimenti volti a dimostrare sperimentalmente l’esistenza di particelle dotate di velocità superiore a quella della luce.

Ricerche in tal senso sono in corso in America, in Svezia e in India. A partire dal I960, parecchi fisici, tra i quali John Boccio e E.C. Sudarshan, hanno ipotizzato l’esistenza di particelle dotate di velocità iperluminosa.

Contrariamente a quanto può sembrare, l’esistenza di tali particelle non infirmerebbe i postulati della relatività einsteiniana. La limitazione della velocità che discende dalle teorie di Einstein si applica solamente alle particelle la cui massa propria può essere rappresentata da un numero finito, diverso da zero: tale è il caso del neutrone, del protone o dell’elettrone.

Ma esistono particelle con massa nulla: il fotone e il neutrino; mentre altre hanno massa immaginaria.

Ricordiamo per inciso che per quanto riguarda il fotone, non vi è completo accordo tra i fisici sul fatto che esso abbia massa assolutamente nulla. Il fatto che i fotoni luminosi, e altre radiazioni, siano deviati dalle masse enormi dei corpi siderali, renderebbe forse possibile l’ipotesi apparentemente audace e rivoluzionaria, secondo la quale i fotoni avrebbero una massa piccolissima ma non completamente nulla.

L’esistenza dei “buchi neri”, enormi stelle collassate dall’energia gravitazionale, tanto che un centimetro cubo di materia al loro interno può pesare miliardi di tonnellate, rappresenterebbe una prova non trascurabile del possesso da parte del fotone di una massa non nulla. Infatti, nulla può sfuggire ai buchi neri: fotoni di luce, raggi x, raggi gamma, vengono comunque assorbiti. In caso di conferma generalizzata di tali esperienze, sarebbe indispensabile una profonda revisione delle teorie di Einstein.

Eminenti fisici sostengono l’ipotesi dell’esistenza dei tachioni: fra essi, il professor Léonard Parker, dell’Università del Wisconsin, e il professor Camenzind dell’università di Berna. Solamente nel 19″4 sono state ottenute prove sperimentali in questo campo. Due fisici dell’Università di Adelaide, i professori F. Crough e R. Gay hanno rivelato dei tachioni in fasci di raggi cosmici. Ciò significa che hanno riscontrato l’effetto del fascio dei raggi cosmici prima che il fascio fosse generato dalla particella proveniente dallo spazio attraverso l’atmosfera terrestre.

Anche il fisico S. Coleman dell’Università di Harvard, ha descritto questo tipo di effetto, che ha definito con il termine «particella anti-stabile».

La scomposizione di una particella di questo tipo avviene secondo un processo inverso a quello prodotto in una particella normale e stabile. In altri termini, i prodotti della scomposizione sono rivelati prima che venga prodotta la causa che li genera.

La probabilità di rivelazione di tali fenomeni diminuisce con grande rapidità risalendo nel tempo. Il professor F. Wolf dell’Università di San Diego (USA) ha esaminato alla luce di queste ricerche importanti fenomeni di parapsicologia, quali la precognizione, la lettura del contenuto di una lettera chiusa ecc.

L’antimateria

Gli atomi di antimateria sono formati da nuclei caricati negativamente e circondati da un guscio di elettroni positivi, o positroni. Il positrone è stato scoperto il 2 agosto 1932 dal fisico americano Cari L. Anderson.

Quasi tutte le particelle attualmente conosciute posseggono la loro anti-particella: protone e antiprotone, neutrone e anti-neutrone, neutrino e anti-neutrino, mesone pi e anti-mesone pi, e così via.

L’anti-atomo di idrogeno è formato da un nucleo centrale negativo attorno al quale ruota un elettrone positivo (o positrone). Quando un atomo di idrogeno normale incontra un anti-atomo di idrogeno, fra i due avviene un processo di annichilazione che dà origine a una radiazione.

Tra il 1970 e il 1974, i fisici sovietici hanno compiuto oltre mezzo milione di esperimenti durante i quali sono stati ottenuti risultati di grande rilevanza. Il professor Yurij Prokoskin che lavora al Centro di Ricerche Atomiche di Serpuchov è riuscito ad ottenere nuclei di anti-atomi di elio. La loro esistenza di solito non supera qualche frazione di secondo.

Tuttavia, i fisici sovietici sono riusciti a creare campi che permettono di isolare l’antimateria dalla materia circostante, così da evitare l’annichilazione che deriva dal loro contatto. Tutte le particelle di materia conosciute hanno il loro equivalente nell’antimateria (si vedano le tabelle alle pagine 112 e 113).

I geoni, particelle di tempo

Il fisico J. A. Wheeler, professore di fisica nucleare all’Università di Princeton, ritiene che il tempo e lo spazio siano la manifestazione di particelle di spazio-tempo. La teoria generale della relatività di Einstein dice che lo spazio-tempo è curvato. I valori di tempo variano seguendo la densità del mezzo che ne rappresenta la cornice. Le particelle di spazio-tempo, chiamate da Wheeler geoni, esistono realmente, dichiara l’autore di tale teoria, «poiché esse vengono deviate secondo differenti traiettorie curve in funzione dell’attrazione gravitazionale».

In virtù del principio di simmetria universale, le particelle di spazio-tempo posseggono le relative anti-particelle. I geoni danno origine agli anti-geoni, elementi costitutivi dell’anti-tempo. I più eminenti fisici sovietici del passato, come Markov, Ivanenko, Alexandrov, sono pervenuti a conclusioni simili a quelle di Wheeler.

Lo scienziato sovietico Nikolai Kozyrev ritiene che il tempo sia una forma di energia intimamente legata non solo ai fenomeni psichici, ma anche ai fenomeni studiati dalla parapsicologia.

Kozyrev dichiara: «Il tempo è l’elemento più importante e più enigmatico dell’universo. Esso non si propaga come le onde luminose, ma si manifesta ovunque istantaneamente. Qualunque modificazione delle proprietà di un frammento di tempo si manifesta ovunque nello stesso istante… il tempo è onnipresente. Il tempo ci mette in relazione con gli altri e collega tutte le cose nell’universo».

Il tempo possiede particolari proprietà di cui Kozyrev avrebbe osservato le caratteristiche in laboratorio. Il tempo avrebbe presso il destinatario di un’azione una densità maggiore di quella che ha presso l’autore di tale azione.

Come J. A. Wheeler, anche gli scienziati sovietici ritengono che la gravitazione eserciti un’influenza sul tempo. Secondo recenti esperienze, non si potrebbe escludere che gli antiprotoni, gli antineutroni abbiano la capacità di risalire il corso del tempo. Tale è l’ipotesi del fisico Feynmann, Premio Nobel di Fisica.

Le antiparticelle potrebbero manifestarsi in seguito ad un’inversione nel flusso del tempo. Il mondo dell’antimateria si dispiegherebbe nel quadro di un anti-tempo e di un anti-spazio. Nel corso del Congresso Internazionale di Astrofisica tenuto nell’aprile 1973 al Centro Spaziale Goddard (dipendente dalla NASA), F. W. Stecker ha formulato l’ipotesi che l’incontro di un universo ordinario e di un universo costituito da antimateria dia luogo a un’annichilazione di materia che genererebbe raggi cosmici gamma. Gli esperimenti condotti dal centro Goddard in occasione dei voli Apollo 15, 16 e 17 sembrano confermare queste ipotesi.

Seguendo analoghi ragionamenti, il fisico svedese Hannes Alf-vén, Premio Nobel 1970, ha dichiarato che l’universo contiene uguali quantità di materia ordinaria e di antimateria. Le misure della radiazione elettromagnetica cosmica, le radio-onde e i raggi gamma, dimostrano che la sorgente di tali onde risiede nel nucleo di annichilazione in cui si scontrano i due universi: quello della materia ordinaria e quello dell’antimateria. Eccoci allora a contatto con mondi e universi di cui non supponevamo l’esistenza: stelle e galassie di antimateria che si evolvono, o meglio, si involvono in un antispazio durante un anti-tempo.

Siamo ben lontani dai concetti di materia, di tempo e spazio tradizionali.

Se esistono universi (o parti di universo) composti di antimateria, essi non costituiscono comunque mondi diversi dal nostro, in quanto potrebbero far parte di un medesimo livello di realtà. Ma esistono altre ipotesi, che prevedono la presenza di universi paralleli.

Il concetto di “universi paralleli” presuppone che possano esistere mondi formati da elementi di cui ignoriamo totalmente la natura e sedi di fenomeni che non siamo in grado di percepire. Tuttavia, gli universi paralleli sarebbero in grado di esercitare considerevole influenza sul nostro universo e sul comportamento umano.

Non si può infatti affermare o negare a priori che la personalità umana, reale o apparente, non appartenga contemporaneamente a diversi universi o a diverse dimensioni.

L’esistenza di tali dimensioni supplementari è postulata da un gran numero di scienziati contemporanei. È possibile che la maggior parte dei fenomeni psichici, e gli stessi livelli spirituali della coscienza, siano originati da questa appartenenza contemporanea a numerosi universi.

Su tali basi, d’altronde, si sono sviluppati i lavori del fisico-matematico Adrian Dobbs, del professor Margenau dell’Università di Yale, di Cyril Burt e di Eddington.

Tutti costoro propongono un universo a cinque dimensioni: tre dimensioni spaziali e due dimensioni temporali.

Charles Musès, dell’Università di Columbia, definisce il tempo come «la causa finale di qualsiasi liberazione di energia». Musès fa intervenire, nello studio dei processi ipnotici, due dimensioni temporali differenti dal tempo ordinario (quello noto degli eventi storici).

La natura dei corpuscoli atomici

Lo studio della natura esatta dei corpuscoli atomici costituisce una delle materie più rivelatrici e più utili per gli studiosi di parapsicologia.

I vecchi manuali di chimica e di fisica presentavano i sistemi atomici sotto forma di un nucleo positivo sferico (simile a una palla da biliardo), solido, opaco e dai contorni nettamente definiti, circondato da uno o più elettroni planetari, dotati a loro volta di contorni precisi e nettamente individuabili. Niente di più sbagliato.

Questo modello provvisorio, immaginato, come abbiamo già detto, dal fisico danese Niels Bohr. è completamente sorpassato.

Ricordiamo per confronto, la definizione delle particelle atomiche data ben quarantanni fa dal fisico de Broglie, Premio Nobel di fisica, nel suo libro Materia e luce: «Per corpuscolo intendiamo una manifestazione di energia o di quantità di moto localizzata in un volume molto piccolo e in grado di manifestarsi localmente, in opportune condizioni, con tutta la sua energia. L’elettrone è un granello di materia solo nella misura in cui è in grado, in certe condizioni, di manifestarsi con tutta la sua energia… L’onda associata all’elettrone non è la vibrazione fisica di un qualcosa… essa non rappresenta altro che un campo di probabilità».

Che cosa rimane, in queste definizioni, del nostro tradizionale concetto di materia? Nulla, o quasi.

O, più esattamente, tutto il contrario di quanto noi credevamo di avere il diritto di pensare.

Durante questi anni 2000, ci troviamo davanti un mondo di stupefacenti novità e di valori tanto imprevedibili quanto sconosciuti.

Ecco, a proposito, una sensazione espressa molto chiaramente da Roger Godei negli anni ’70: «La visione dell’uomo di scienza giunto al limite estremo della sua ricerca si apre su un mondo diverso: un sistema di energie dal quale si è ritirata, perduta, svanita, la nozione comune di sostanza. Un immenso sforzo esercitato sull’ingenuo gioco dei sensi ha condotto l’uomo a questa posizione, dalla quale il cosmo appare totalmente spoglio dei suoi fittizi attributi. Ogni proprietà di sostanza, durata, colore, volume, che l’esperienza attribuiva alle cose, perde qui la sua importanza. Per lo spirito, così ristabilito dallo spoglio totale dei sensi e dell’intelletto, non esiste nient’al-tro che la pura coscienza in osservazione. Tale coscienza primordiale, la coscienza originaria che osserva il proprio gioco è, essa sola, l’intera realtà».

Sembra particolarmente opportuno, a questo punto, citare il modo di pensare di uno dei più eminenti fisici del ‘900, Robert Oppenheimer: «Il mondo definito dai sensi è semplicemente un mondo apparente».

Interdipendenza dei costituenti ultimi delia materia

In una memoria pubblicata nel 1971, il fisico Fritzjof Capra dell’Università di Londra rileva fino a che punto qualunque oggetto sia intimamente legato a tutti gli altri. Fra tutti i corpuscoli esistono intense e continue interazioni, tali che essi figurano nella loro apparente individualità solamente in forma secondaria e derivata, come risultati di interferenze fra azioni reciproche di straordinaria complessità. La teoria della costituzione adronica della materia tiene conto di interazioni cento volte più forti di quelle dei campi elettromagnetici e gravitazionali.

Secondo le teorie di Capra, accettate ormai dalla maggioranza degli scienziati, ogni particella è definita da una matrice di equazioni nelle quali sono implicati non solo i corpuscoli immediatamente vicini, ma la totalità del cosmo.

Tutti i corpuscoli risultano così legati e interdipendenti a tal punto che ognuno di essi può essere visto come contenente tutti gli altri. Tale concetto è ben chiarito da Capra nella memoria citata: «Tutti gli adroni hanno una struttura complessa e comprendono essi stessi altri adroni. Ogni adrone svolge pertanto tre funzioni: possiede una struttura complessa, può essere implicato nella costituzione di altri adroni e prende parte alle forze di legame che assicurano la coesione globale della struttura. Ogni particella collabora pertanto all’elaborazione delle altre, che, a loro volta, partecipano alla sua. La teoria della costituzione adronica della materia non comporta perciò alcuna nozione di costituenti elementari nettamente separabili».

Il punto di vista di Capra, che qui abbiamo esposto molto sommariamente, è condiviso dal fisico G. F. Chew in un intervento comparso su Physics today. Dello stesso parere sono i fisici sovietici e il francese René Louis Vallèe, che ne tratta nei suoi lavori sulla sinergia.

Analogie tra la teoria adronica e il Buddhismo

I lavori di Capra mettono in evidenza analogie insospettate fra la teoria adronica della materia e gli insegnamenti del Buddhismo. Ed è sintomatico che analoghi confronti siano già stati fatti da illustri fisici, quali Robert Oppenheimer, John Wheeler e, negli anni ’70, dagli “Gnostici di Princeton” .

Richiamando tali analogie, Capra scrive: «Il Buddhismo mahayana, che ha per tema centrale l’unità e l’interdipendenza di tutti i fenomeni, è molto vicino ai concetti esposti nelle teorie relative alla costituzione adronica della materia. Ma ancor più stupisce l’analogia con i modelli di interrelazione propri alla scienza moderna.

«La dottrina mahayana è propria del pensiero buddhista dell’India, della Cina e del Giappone: si basa sull’Avatamsaka Sutra, il cui nodo centrale è la descrizione di come viene visto il mondo nello stato di illuminazione interiore, quando svaniscono i contorni rigidi dell’individualità e non siamo più oppressi dalla percezione dei nostri limiti. Secondo YAvatamsaka Sutra, l’uomo illuminato percepisce il mondo come un reticolo perfetto di relazioni mutue ove ciascun oggetto, essendo immerso nel Dharmakaya universale, contiene in se stesso tutti gli altri oggetti.

«Questo concetto prende il nome di interpenetrazione e viene illustrato nell’Avatamsaka da questa parabola. Nei cieli di Indra esiste una collana di perle disposte in modo tale che quando se ne guarda una, tutte le altre si riflettono in quella. Similmente, ogni oggetto del mondo non esiste semplicemente per se stesso, ma include tutti gli altri oggetti, o meglio, “è” tutte le cose. In ogni particella di polvere sono contemporaneamente presenti innumerevoli Buddha. L’analogia di questa immagine con la teoria adronica della materia è impressionante (…) La parabola di Indra potrebbe con buona ragione essere definita il primo modello adroni-co della materia pensato dalla mente umana ben 2500 anni prima dell’inizio della fisica moderna».

L’ipotesi di René Louis Vallèe: la sinergia

I principi di interdipendenza, di unità e di coerenza universale dell’energia sono stati messi in evidenza dall’ingegnere René Louis Vallèe del centro di Saclay. “Sinergia”, secondo la sua ipotesi, significa energia totale dei fenomeni, non considerati nel loro apparente isolamento, ma esaminati nelle loro interazioni con la totalità dell’universo.

Ritroviamo qui, ancora una volta, la tendenza a considerare l’universo come un “tutto unico”.

La sinergia non si limita a considerare le forme di energia materiale generalmente ammesse dalla fisica classica, ma prende in considerazione anche il consistente potenziale energetico dello ;:e=>o vuoto. Secondo tale ipotesi, nell’universo è distribuita una notevole quantità di energia cosmica immateriale. Il termine “immateriale”‘ deve essere inteso qui nel senso di energia che non possiede nessuna delle proprietà generalmente attribuite alla materia dalla fisica classica. Immateriale non significa perciò inesistente. I neutrini, per esempio, non godono di nessuna delle proprietà generalmente attribuite alla materia: non hanno massa né carica elettrica, ma svolgono un’azione materiale.

La teoria sinergetica di Vallèe può essere considerata come parallela e complementare alle grandi teorie del campo unitario. Essa poggia su tre principi.

In primo luogo, un principio di coerenza. Esso porta alla constatazione dell’esistenza di relazioni non contraddittorie fra tutti i fenomeni dell’universo: il principio di coerenza mette in evidenza la loro interdipendenza.

In secondo luogo, e in stretta relazione con il principio di coerenza, una nuova definizione dei mezzi energetici. Con essa è possibile costruire un modello matematico di qualsiasi legge fisica nell’ambito della teoria elettromagnetica di Maxwell, a condizione di aggiungere ad essa la legge di materializzazione derivante dall’esistenza di un valore limite superiore imposto dalla natura ai campi elettrici.

In terzo luogo, la definizione di sinergia, conseguenza dell’estensione del principio di conservazione dell’energia a qualsiasi sistema aperto.

I tre concetti fondamentali della teoria sinergetica sono complementari. Tutti e tre impregnati dalla nozione di interdipendenza e di unità degli elementi costitutivi dell’universo, in contrasto con la loro apparente autonomia. Vallèe lo dimostra chiaramente nella sua definizione del principio di coerenza.

Nei termini di Vallèe il principio di coerenza suona così: «Il principio di coerenza, che non deve essere confuso con il principio del determinismo o con il principio di causalità, può essere enunciato nel modo seguente: tutti i fenomeni naturali suscettibili di essere catturati sperimentalmente nell’universo sono coerenti; ciò significa che essi dipendono, tutti, in maniera più o meno stretta attraverso relazioni più o meno complesse, gli uni dagli altri e si manifestano, ciascuno, come risultante locale di una dinamica universale.

Essi perciò non possono, in nessun caso, nello spazio o nel tempo, trovarsi in contraddizione con lo stato dell’universo quale deve essere in quel luogo e in quel tempo. La definizione di sinergia introduce nelle leggi fisiche elementari una semplificazione molto importante. Essa estende ai sistemi aperti il principio di conservazione dell’energia e opera la sintesi unitaria di tutte le forme di energia, sia essa meccanica, elettromagnetica, termica, gravitazionale o nucleare».

Nell’ipotesi sinergetica di Vallèe, lo spazio reale viene considerato «come un sostrato costituito da vibrazioni elettromagnetiche, nel senso della teoria di Maxwell, che formano la trama dell’universo».

Su questa base di vibrazioni ha origine la materia: dapprima sotto forma di fotoni, quando il campo elettrico per effetto delle sue fluttuazioni statistiche raggiunge il valore limite. In seguito compaiono le particelle elementari, per interazione di un fotone dotato di sufficiente energia con il mezzo diffuso nel quale si propaga; le particelle generalmente si manifestano sotto forma di coppie di zone vorticose diruttive che possono essere separate solamente per azione di campi elettrici intensi.

Vallèe prevede infine che lo studio delle interazioni deboli possa condurre alla possibilità di utilizzare direttamente l’energia diffusa gravitazionale (che i fisici del CERN indicano con il termine “correnti neutre”), presente ovunque in quantità inesauribile.

L’ipotesi del fisico John Wheeler

John Wheeler è uno dei più eminenti fisici americani contemporanei. Allievo di Niels Bohr, è attualmente direttore della Facoltà di Fisica Nucleare dell’Università di Princeton. Fu. insieme a Robert Oppenheimer, tra i realizzatori della bomba all’idrogeno. John Wheeler si è proposto di realizzare una sintesi tra i dati forniti dalla teoria generale della relatività e quelli provenienti dalle teorie sui campi gravitazionali e i campi elettromagnetici formulate dagli scienziati sovietici Alexandrov e Ivanenko.

In un intervento svolto nel 1970 presso l’American Association for Advancement of Science, Wheeler ha dichiarato che il campo unitario di spin, o campo dell’iperspazio, coincide con l’essere assoluto, l’ipseità (in inglese, as-it-isness).

La sua posizione può essere perciò assimilata a quella degli “Gnostici di Princeton” per come ci viene descritta da Raymond Ruyer.

All’estremo livello di profondità della materia, non vi è più né tempo, né spazio, né causalità, né massa. Lo stesso concetto è stato espresso da Werner Heisenberg: «Non siamo più in grado di dire a che cosa equivale la massa di una particella quando impostiamo la soluzione dell’equazione principale relativa al campo unitario. Infatti la massa è la conseguenza di una qualche interazione del campo unitario con se stesso. Pertanto, essa non può essere assegnata a priori, ma deve essere ricavata dalla soluzione dell’equazione. Il suo posto, se così si può dire, è alla fine anziché al principio della formula. Occorre perciò togliere da tale equazione il termine che rappresentala massa».

L’iperspazio del campo unificato è rigorosamente atemporale: non comporta né passato, né futuro. John Wheeler sentenzia a questo proposito: «Le domande del tipo: che cosa succederà? Parole come “prima”, “dopo”, “vicinanza”, “lontananza” hanno perso ogni significato in questo ambito».

Intelligenza e psichismo della cosiddetta energia fisica

Un numero via via crescente di scienziati e filosofi concordano nel ritenere che l’essenza finale dell’universo materiale, cioè la protomateria, sia più simile a una struttura pensante che a una grande macchina retta dalle sole regole del caso.

Le ricerche dello scienziato inglese D. Lawden, del matematico e filosofo Stéphane Lupasco, del chimico Robert Tournaire, del fisico P. Dirac, di Roger Godei, dei fisici Robert Oppenheimer, Jean Charon, David Bohm e, infine, le “rivelazioni” degli “Gnostici di Princeton“, hanno evidenziato che alcune capacità di memoria, intelligenza e coscienza non appartengono solamente alla materia vivente, organizzata, ma sono anche riscontrabili nel cuore stesso delle materie inorganiche.

Sono stati compiuti esperimenti su metalli e su diverse leghe metalliche che testimoniano la presenza di una specie di memoria persistente anche dopo una successione di fusioni e solidificazioni. La lega metallica nitinol. formata da nichel e titanio, è stata sperimentata nei laboratori Battell (USA) e ha rivelato sorprendenti capacità di memoria. Analoghe proprietà sono state rivelate anche da certe sostanze plastiche sottoposte a irradiazione.

Alcuni specialisti di fisica nucleare, come il belga Alfred Herrmann e l’inglese D. Lawden, erano stati criticati quando, nel 1964. avevano avanzato l’ipotesi che l’elettrone fosse sede di un’attività psichica e, insieme, che valessero i concetti di vita, intelligenza e coscienza per le particelle a livello nucleare e subnucleare.

Tale posizione è oggi addirittura sorpassata dalle conclusioni raggiunte da scienziati di fama internazionale facenti parte del gruppo degli “Gnostici di Princeton“: costoro hanno avanzato ipotesi assai più audaci.

Quando si parla di una certa intelligenza, o coscienza, o ancora, attività psichica dell’energia e dei costituenti del nucleo, occorre intendersi sul significato che si dà a questi termini a questo livello.

È evidente che essi devono essere spogliati da qualsiasi antropomorfismo se vogliamo accordar loro un qualche credito. La maggior parte delle definizioni collegano l’intelligenza alla capacità di comprendere, possedere la natura intima e profonda delle cose e di noi stessi in relazione all’ambiente. Si tratta, infatti, di una presa di possesso; a seconda che essa sia fisica o psicologica, implica un gesto fisico o un atteggiamento mentale adeguati.

Senza adeguatezza è impossibile qualsiasi possesso, sia fisico, sia psicologico.

L’adeguatezza di un atteggiamento fisico o mentale può essere definita come un movimento che risponde correttamente alle circostanze, esse pure fisiche o mentali. È perciò plausibile definire l’adeguatezza nelle relazioni una delle manifestazioni specifiche dell’intelligenza.

Il senso comune dell’uomo medio tende a definire poco intelligente qualsiasi persona che mostri un atteggiamento sfasato, sia in senso fisico che psicologico. Viene considerato privo d’intelligenza qualsiasi essere incapace di rispondere adeguatamente ai dati impliciti in una certa situazione fisica o psicologica.

Uno studente che supera brillantemente gli esami non risponde per ciò stesso alla definizione completa di intelligenza: potrebbe infatti essere semplicemente una macchina memorizzatrice. Ma se il suo comportamento nelle concrete vicende della vita quotidiana rivela mancanza di iniziativa, assenza di spirito di adattamento e di creatività, allora il nostro studente potrà essere definito privo di autentica intelligenza.

La sua incapacità di adattamento, la sua mancanza di iniziativa, il suo spirito abitudinario, la sua rigida dipendenza dalle informazioni memorizzate, gli impediranno di risolvere correttamente i problemi imprevisti.

L’incapacità di rispondere adeguatamente all’avvento di circostanze nuove e impreviste, che nasce dall’abitudine, rivela mancanza di attenzione, di lucidità e di vivacità di spirito. I test di intelligenza che si applicano alla prima infanzia sono, in parte, fondati sulla capacità propria ai bambini di saper ricomporre adeguatamente parti di oggetti o di riunire correttamente elementi separati di giocattoli che vanno incastrati o agganciati fra loro.

Nei test di abilità manuale, riveste un ruolo determinante anche la rapidità con la quale vengono eseguiti tali rimontaggi; essa costituisce un importante elemento nella definizione finale del quoziente d’intelligenza.

Che dire, allora, della straordinaria capacità di adattamento dei componenti elementari della materia? In nessun campo, in tutto l’universo, si possono osservare esempi di capacità di adattamento altrettanto perfetti e rapidi di quelli rivelati dal comportamento dei nuclei atomici e delle particelle subnucleari.

«Ad ogni istante — scrive il fisico tedesco P. Jordan — avviene qualcosa di nuovo e di imprevedibile a livello atomico».

Ad ogni istante, cioè ad ogni miliardesimo di miliardesimo di secondo, le particelle atomiche rispondono adeguatamente a circostanze incredibilmente complesse, rapide e impreviste. Avrebbero a loro disposizione, come faceva notare Alfred Herrmann, miliardi di risposte differenti, e tutte sbagliate e invece esse forniscono la risposta adeguata in un miliardesimo di miliardesimo di secondo.

Gli scienziati appartenenti al gruppo degli “Gnostici di Princeton” estendono queste doti di intelligenza fino ai livelli molecolari, smentendo così in maniera categorica la tendenza, fino ad oggi prevalente tra i fisici, a negare qualsiasi carattere di intelligenza a tali processi per attribuire loro caratteri vaghi e confusi.

Durante i suoi incontri con Godei, il fisico Robert Oppenheimer, molto vicino agli “Gnostici di Princeton“, dichiarava che «le particelle atomiche conoscono il calcolo tensoriale meglio dei fisici». E, aggiungeremmo, lo conoscono non solo nel senso elementare del termine, ma lo vivono con l’intensità dei loro scambi e dei loro movimenti sempre perfettamente adeguati.

Il Premio Nobel di Fisica Paul Dirac, citando questa armonia e questa coerenza, dichiarava: «Pare che, in base a un principio generale, le leggi fondamentali della fisica siano strettamente legate all’alta matematica. Ciò diviene sempre più evidente quanto più aumenta la nostra conoscenza della natura. È un fatto che non può essere spiegato, ma deve essere accettato così com’è. Si potrebbe dire che Dio è un matematico e ha impiegato nel creare l’universo le formule matematiche più sofisticate. Chiunque abbia studiato un po’ di matematica può riconoscere la grande bellezza delle relazioni matematiche. Ebbene, si è scoperto che le leggi fondamentali della fisica, quando sono ottenute nella loro forma concreta, posseggono questa caratteristica bellezza matematica».

L’evoluzione delle scienze tende ad evidenziare l’esistenza di una realtà fondamentale altamente spirituale e coerente. Essa si mostra materiale o spirituale a seconda dell’angolo di osservazione.

Ciò che noi chiamiamo spirito o materia sono due facce apparentemente opposte, ma complementari di una stessa totalità profondamente spirituale nella sua essenza.

Uno studio accurato dei diversi processi che si situano a metà strada fra i più avanzati livelli spirituali e il familiare livello materiale rivela l’esistenza di un livello psichico dell’energia senza il quale non sarebbe possibile alcun contatto fra lo spirito e la materia. Tali nozioni, presenti da oltre duemila anni negli insegnamenti dell’antica India, sono ora fatte proprie da uomini di scienza occidentali, come Cyril Burt (USA) e Alfred Herrmann (Belgio).

Gli “Gnostici di Princeton”

Negli anni ’70, un gruppo di scienziati di fama mondiale, tra i quali compaiono diversi Premi Nobel, fisici, matematici, astronomi, medici e ricercatori appartenenti alle più svariate discipline, si riunirono periodicamente.

In tali incontri confrontano le loro opinioni giungendo a conclusioni audaci e sorprendenti, se si pensa che provengono da uomini di scienza assai noti. Queste conclusioni costituiscono la più brillante conferma del nostro modo di affrontare i problemi di fisica, di psicologia e della spiritualità.

Non si può in questa sede fornire altro che un sommario panorama di alcuni elementi significativi che ci paiono svolgere un ruolo complementare molto utile per lo studioso delle materie parapsicologiche.

Ai lettori che desiderano ottenere maggiori informazioni, consigliamo la consultazione del libro del professor R. Ruyer dell’Università di Nancy, “La Gnose de Princeton” (La gnosi di Princeton), già citato. La recente evoluzione scientifica ha portato gli “Gnostici di Princeton” a queste conclusioni.

Il mondo che noi riteniamo essere pura materia è in realtà dominato dallo spirito, è fatto di spirito.

Lo spirito genererebbe, come elemento secondario e provvisorio, una resistenza o opposizione: la materia, ma la sua vera natura ci perviene come mascherata dall’imperfezione delle nostre sensazioni. L’essere umano può accedere allo spirito cosmico mediante la conoscenza di una scienza superiore, altamente spiritualizzata. Grazie alla saggezza, che risiede nel comportamento conforme alle leggi più profonde della natura vera degli esseri e delle cose, e all’intelligenza, ogni essere umano può divenire parte dello spirito e raggiungere la serenità interiore.

Alla domanda «cosa è lo spirito?», gli “Gnostici di Princeton” rispondono che lo spirito «è la coscienza cosmica». L’essenza dell’universo materiale, definito con espressioni diverse, come «oceano della protomateria» (dai sovietici), «campo unitario di creazione pura», o «campo di spin non lineare e a-causale», non è solo dotata di una certa intelligenza, così come avevamo già sommessamente proposto nel 1966 in Spirituaiité de la matière (Spiritualità della materia), ma è essa stessa coscienza cosmica onnisciente infinitamente superiore all’intelligenza umana. Che tale presa di posizione venga fatta propria da fisici e scienziati di fama internazionale, è evidentemente significativo per la nostra epoca.

Alla richiesta di definire la materia, gli “Gnostici di Princeton” rispondono: «La materia non è l’opposto dello spirito, che anzi la forma e la riempie. La materia, i corpi materiali, non sono altro che l’apparenza, il sotto-prodotto dello spirito, causato dal disordine della molteplicità. L’universo, nella sua totalità e unità, è cosciente di se stesso; non è fatto di cose, di corpi materiali. Le sue energie non sono fisiche. Le sue informazioni non sono cieche, se non nel tratto di viaggio tra due conoscenze».

Il mondo delle apparenze materiali, all’interno del quale trascorre la nostra esistenza, è stato sempre considerato il supremo simbolo della realtà, il punto di partenza, l’origine di tutte le nostre ipotesi, tutti i nostri riferimenti di valore, tutti i nostri sistemi di misura. Al di là di questa base materiale, dall’apparenza solida e stabile, il resto non sarebbe altro che vago, nebuloso, fantomatico epifenomeno. I fenomeni psichici, le energie spirituali, i più alti vertici della vita mistica non sarebbero che miraggi, pure interferenze in un mondo materiale che rappresenta l’assise dell’universo, ove la vita, l’intelligenza e la coscienza non sono altro che l’effetto del caso. Tale è l’opinione di numerosi scienziati razionalisti e cartesiani.

La posizione degli “Gnostici di Princeton” è diametralmente opposta.

Essi dicono che il mondo materiale al quale pensiamo, per ignoranza, di appartenere, è in realtà il rovescio di un diritto fondamentale che ne rappresenta la base. Come riferisce Raymond Ruyer: «Il cosmo è una tappezzeria che la scienza descrive fedelmente, ma vedendola al rovescio. La gnosi risiede nella conoscenza della vita vera degli esseri, al di là e attraverso le osservazioni della scienza. Il mondo spazio-temporale è prodotto dall’interno, come la conchiglia della chiocciola, che tuttavia la abita. È fatto da tutte le singole individualità che vi agiscono».

Ogni uomo normale, o almeno considerato tale, si consideta aprioristicamente come un’entità esistente per se stessa, posta al centro del mondo e sola autrice della sua vita presente, delle sue azioni, della sua coscienza, delle sue percezioni. Mai, neppure per un istante, metterà in dubbio l’autenticità della propria personale coscienza, il sentimento di una precisa solidità psicologica, l’impressione di essere un’entità autonoma. Ogni uomo cosiddetto normale considera il proprio io quale unica realtà psicologica di base, unico soggetto. In esso ha sede il punto di partenza iniziale che occupa un livello di priorità indubitabile.

Per gli Gnostici, invece, la coscienza del proprio io e la sua stessa esistenza, intervengono come momento secondario e derivato in confronto alla realtà fondamentale della coscienza cosmica. Per gli Gnostici, l’unico, eterno soggetto è il «campo unitario di creazione pura» o T«oceano della protomateria». Gli “io” individuali e la loro coscienza condizionata, fatta di tensioni contraddittorie, non sarebbero altro che deformazioni provvisorie, caricature di questo soggetto unico e fondamentale.

A questo livello si troverebbe lo stato naturale nella sua essenza fondamentale. Questa realtà non è semplicemente dotata di coscienza cosmica: è essa stessa coscienza cosmica, puro noumen, posta al di fuori del tempo, autogenerantesi, esistente per se stessa.

A questo livello, e solo a questo livello, ha sede il “soggetto” supremo, nei confronti del quale la nostra pretesa soggettività assume un carattere di impostura e di arroganza certamente ridicolo e fuori luogo. Il diritto del mondo, il diritto degli esseri e delle cose, del quale noi solitamente percepiamo il rovescio, è l’unica presenza per la quale è veramente importante rendersi disponibili.

Come scrive Raymond Ruyer: «L’io esce, come elemento secondario, dall’autopresenza, dal campo del qui e dell’ora. La presenza fa l’io; non è l’io che fa la presenza».

Tutti i fenomeni che percepiamo risultano da interferenze tra soggetti osservatori e oggetti osservati, a partire da posizioni apparentemente privilegiate. Gli Gnostici considerano la teoria della relatività uno studio delle interferenze, delle interazioni prodotte dagli scambi di segnali tra soggetti. Lo studio di questi segnali, creati peraltro dagli stessi soggetti, e la loro codifica formano una cosmologia unitaria che rappresenta la base della fisica. Come nella già citata meditazione buddhista, gli Gnostici considerano il carattere illusorio e non sostanziale dell’io. Essi spiegano che «il campo visivo, e la coscienza in generale, mi appartengono in quanto sono qui.

Non in quanto li vede il mio io, un qui astratto e a priori… In questo senso, io non esisto: è la presenza assoluta di un campo qui-ora che mi fa esistere. Senza campo del presente, io non sono nulla. Io posso esistere per la presenza assoluta del campo del qui e dell’ora».

È pertanto necessario proporre un riaggiustamento e una riedificazione dalle fondamenta del nostro modo di prender contatto con noi stessi e con le cose. Infatti prendiamo contatto con noi stessi e con le cose in maniera errata, secondo una direzione che è contraria al senso naturale.

A causa di questo errore, partiamo dalla nostra situazione apparentemente periferica e superficiale e questo è un brutto inizio. Noi ci poniamo aprioristicamente al centro di ogni cosa e ci consideriamo come soggetti che guardano il resto dell’universo come insieme di oggetti. Così viviamo in maniera capovolta in un mondo rovesciato.

La giusta direzione invece si avrebbe fissando il punto di partenza all’interno del nucleo unico dell’universo, che è il vero nucleo degli esseri e delle cose, compresi noi stessi. La giusta direzione si avrebbe partendo dalla base e non dalla periferia. Significa assegnare a priori alla realtà fondamentale dell’universo, degli esseri e delle cose la posizione di priorità che le compete a pieno titolo. La giusta direzione consiste nell’abbandonate il riferimento alle apparenze, ai miraggi di un sogno collettivo che pare reale solo in virtù dei miliardi di interferenze evanescenti di pseudo-soggetti addormentati che si credono individui.

L’esistenza di una giusta direzione, di un verso, è una delle grandi scoperte della fisica moderna ed è stata resa evidente dal principio di non-conservazione della parità. «Si può perciò dire — afferma Ruyer — che la scoperta del principio della nonconservazione della parità in alcune particelle, che risultano così non indifferenti al senso e all’operazione “specchio”, rappresenta la prima breccia fatta dalla fisica sperimentale nel mondo creduto obiettivo della scienza, la prima prova diretta che alcune particelle non sono oggetti attorno ai quali è possibile ruotare… ma risultano piuttosto simili a una superficie-soggetto, a un campo visivo soggettivo, attorno al quale non si può ruotare per osservarlo dall’altra parte».

Dal punto di vista della realtà fondamentale del mondo fisico, non può esistere ovviamente un’altra parte. Essa costituisce l’origine, il punto di partenza, il soggetto unico di tutti gli esseri e di tutte le cose. Da questa origine profonda ha inizio il giusto cammino che avanza verso la superficie delle cose e raggiunge il livello del nostro universo spazio-temporale: il rovescio del nucleo fondamentale. Là è il centro cosmico di cui non siamo che un punto periferico. Il giusto cammino, la direzione naturale emanano da questo centro verso la periferia e non viceversa.

Gli “Gnostici di Princeton” riprendono e sviluppano dettagliatamente la famosa sentenza di Oppenheimer: «Gli atomi conoscono il calcolo tensoriale meglio dei fisici».

Ruyer riprende e amplia il significato che Oppenheimer aveva dato alla sua sorprendente dichiarazione quando scrive: «Le molecole e gli atomi sanno quel che fanno ancor meglio dei fisici. Poiché essi, gli atomi, sanno già quel che i fisici ancora ignorano sul loro comportamento».

L’autore inserisce a questo punto un esempio molto significativo: «La realtà è più simile allo spirito che alla materia, dapprima disordinata, poi ordinatamente disposta. I pezzi di un puzzle non si dispongono nella giusta posizione da soli, perché sono macroscopici e soprattutto artificiali. Ma la materia, in microfisica, si organizza in modo autonomo, secondo uno spazio e un tempo matriciali, analoghi cioè allo schema di un test psicologico che richieda completamento e disposizione di parti secondo un senso. Gli atomi si dispongono come un puzzle che si costruisce da solo a partire dalle particelle e tenendo conto delle leggi di compatibilità o di esclusione (principio di Pauli). Ogni materia è già spirito, in quanto vede se stessa nel proprio campo visivo».

La posizione prioritaria che gli “Gnostici di Princeton” assegnano alla coscienza cosmica li porta a considerare l’universalità dell’intelligenza e di questa super-coscienza situata nel cuore stesso della materia con un’adesione così audace e coraggiosa che stupirebbe non pochi uomini di scienza del vecchio continente. Gli “Gnostici di Princeton”, in maggioranza eminenti fisici, non solo proclamano l’esistenza dell’intelligenza nei più profondi recessi della materia, ma vanno oltre ritenendo che l’intelligenza dell’energia, al livello dei processi internucleari o molecolari, è incomparabilmente superiore a quella degli esseri umani.

Questa concezione audace e rivoluzionaria capovolge totalmente la nostra scala di valori, come risulta chiaramente leggendo ancora una citazione tratta dal libro di Raymond Ruyer, interprete fedele della posizione filosofica degli “Gnostici di Princeton“: «Mi domando quali artifici tipografici, quale rullo di tamburi sarebbero necessari a questo punto per sottolineare che la tesi gnostica sull’universalità dell’intelligenza deve essere presa alla lettera e che essa si oppone al concetto, completamente errato, che l’attività psichica divenga vaga, inferiore, sempre più debole ed evanescente quanto più ci si allontana dall’intelligenza umana verso forme inferiori di vita. Nessuna convincente ragione può far ritenere che la coscienza-intelligenza di un infusorio o di una macromolecola sia più incerta, più confusa dell’intelligenza di un tecnico alle prese con un problema specifico. Avviene piuttosto il contrario: gli infusori o la molecola operano sui dati forniti dai propri edifici atomici o molecolari, sugli elementi presenti del proprio campo autovisivo. Tale campo autovisivo nella sua unità porta a disporre intelligentemente i dati secondo regole e bisogni ben definiti. Al contrario, spesso, il tecnico umano non ha davanti a sé un problema ben posto e pasticcia, va fuori strada, tentando di applicare errati schemi cerebrali».

Gli Gnostici e l’esperienza religiosa

È difficile chiarire l’atteggiamento degli Gnostici in rapporto al problema religioso. La scoperta della natura spirituale dell’essenza della materia di cui essi stessi sono costituiti, così come l’intero universo, li porta a vivere secondo i principi di una religione naturale. Essi mirano a partecipare direttamente alla coscienza cosmica che forma il nucleo del mondo con un affidamento profondo e totale, dando a questo termine il senso che ha in fisica.

Per queste ragioni il loro linguaggio è estremamente sobrio. Ruyer scrive a questo proposito: «La sobrietà della Nuova Gnosi è tale che si potrebbe addirittura rimproverarle di assomigliare troppo al vecchio scientismo e di smorzare allo stesso modo qualsiasi risonanza religiosa. Sembra tuttavia che la Nuova Gnosi nello spostare l’origine dell’universo materiale e ponendolo all’interno del nucleo lo trasfiguri… Non si tratta più dell’assurda macchina del moto petpe-tuo».

Secondo la Nuova Gnosi, la presenza di fenomeni come la coscienza, l’intelligenza, l’immaginazione umane prova l’esistenza di dimensioni e di universi che superano i confini spaziotemporali a noi noti. In questo ambito ha sede «un soggetto unico, universale, un Sé assoluto, per il quale non esiste un altro luogo, un prima o un dopo». In questo nucleo e in nessun altro luogo ha sede l’essenziale: il solo e unico soggetto, eternamente presente, al quale deve competere perciò un carattere di assoluta importanza.

In contrasto con il carattere di priorità che riveste questa realtà fondamentale, i nostri io intervengono a titolo secondario e derivato. La loro importanza è secondaria. Ciò non significa affatto che essi non abbiano alcun senso e che tale ottica porti necessariamente a un nichilismo negativo e distruttore. Anzi, come scrive Ruyer: «Non si può dire che la nostra vita non abbia senso. Ma non ha certamente nessuna importanza. Bisogna saper distinguere tra senso e importanza. Poter dire “andiamo via col vento” senza amarezza, ma anzi con ottimismo cosmico e una sensibilità oceanica, è un passo decisivo verso la Saggezza».

Questa frase riassume da sola il clima di religione naturale proprio agli “Gnostici di Princeton”.

Se abbiamo veramente compreso, al di là del puro livello verbale, quanto è implicito nel senso cosmico e nella visione oceanica, allora siamo in grado di schiudere la nostra coscienza a ricchezze spirituali insospettate.

Se sappiamo vivere in modo autentico, assegnando cioè al nucleo unico dell’universo la posizione di priorità che gli compete in rapporto ai molteplici involucri esterni, in rapporto ai nostri io colmi di false identificazioni mentali, la visione cosmica e il senso oceanico ci renderanno profondamente ottimisti. Essi saranno la base di una vera estasi, sana e normale, propria allo Stato Naturale.

Gli antichi maestri dell’Advaita indiano o del Buddhismo Ch’an descrivevano questa esperienza che a torto ritenevamo inaccessibile con una frase di sconcertante semplicità: «Ritornare a se stessi».

Ecco a quali sorprendenti conseguenze porta il convergere dell’essenza delle più attuali discipline scientifiche con le più elevate forme di spiritualità.

Nascita e morte degli universi

Tanto nel dominio dell’infinitamente grande, quanto in quello dell’infinitamente piccolo, passando attraverso la misura dell’uomo, l’universo ci mostra un continuo spettacolo di miliardi di nascite, di fioriture e di morti.

Mentre universi ed esseri nascono, altri universi e altri esseri scompaiono. Mentre in alcuni luoghi si forma della materia, in altri svanisce altra materia.

Proprio come avevano previsto molto tempo fa Robert Oppenheimer e il matematico Fred Hoyle, accusato allora di eccessiva fantasia, nell’universo si creano continuamente enormi quantità di idrogeno nello stesso momento in cui altre forme della materia ritornano al loro stato primitivo di protomateria, o precipitano in altri universi, o, venendo a contatto con forme di anti-materia e di anti-tempo, si annichilano o si trasformano in dimensioni ed energie ancora sconosciute.

L’astrofisico sovietico Ambartsumian propone un modello che mostra come si realizza ininterrottamente la nascita di stelle e di associazioni stellari mentre altre stelle scompaiono contraendosi al limite estremo fino a divenire ammassi di neutroni di incredibile densità, i misteriosi buchi neri. Sono essi che da tempo rappresentano un grosso problema per gli astronomi e gli astrofisici di tutto il mondo.

Il professor Donald Lynden-Bell, dell’Università del Sussex (Gran Bretagna), ha ripreso un’ipotesi avanzata oltre trent’anni fa da Robert Oppenheimer. Secondo tale ipotesi, al centro di ogni galassia esisterebbe una specie di buco nero, che rappresenterebbe l’ultima tappa della fase finale della vita di un universo simile al nostro. Essi si formerebbero per un processo di collasso gravitazionale nel quale enormi quantità di materia si ripiegano su se stesse e vengono letteralmente aspirate o annullate verso l’interno, o verso un’altra dimensione, da una forza gravitazionale sempre più intensa.

In un interessante articolo comparso su Scientific American, relativo alle catastrofi gravitazionali {Gravitational collapse), l’astronomo americano Kip S. Thorn conferma questa ipotesi. Egli dichiara che «la materia perviene a uno stato di singolarità (singu/arity) totale». La materia risulta talmente compressa dalle enormi forze gravitazionali che non è più possibile alcun movimento dei suoi componenti atomici o subatomici. In tali condizioni, dice K.S. Thorn, tale materia «non può esistere, a meno che essa non riceva informazioni da un altro universo o da altre dimensioni».

Giunti a questo stadio, gli astrofisici ci spiegano che possono verificarsi due modi di trasformazione: o si produce una totale distruzione, e un eventuale assorbimento in un’altra dimensione o verso un universo di antimateria e di antitempo, o si dà origine a un nuovo inizio.

Durante questo processo di rinnovata creazione, il calore e le reazioni nucleari che si producono al centro del sistema sono sufficienti a neutralizzare le enormi forze gravitazionali. In tal caso si vedranno comparire gli elementi costitutivi di una nuova nebulosa, dalla quale, molto più tardi, potrà nascere una nuova stella simile al nostro Sole.

In altri casi, si succedono queste fasi: mentre le reazioni nucleari si indeboliscono, le enormi forze gravitazionali non possono più essere neutralizzate e dànno perciò luogo alla formazione di un oggetto straordinariamente denso conosciuto con il nome di “stella di neutroni”.

Quando la massa della stella di neutroni è sufficientemente elevata, le forze gravitazionali riescono a superare le forze nucleari e a provocare il definitivo collasso della materia, che scompare semplicemente o, piuttosto, si trasforma secondo forme e dimensioni ancora sconosciute.

Le osservazioni degli astrofisici informano dell’esistenza nelle stelle di neutroni, di enormi masse di gas che collassano sotto l’azione di potenti forze gravitazionali, dopo di che non rimane altro che un misterioso buco nero capace di esercitare un’enorme attrazione gravitazionale. Ma non è assolutamente possibile rivelarne la presenza mediante normali mezzi ottici. Come si è già detto, il campo gravitazionale di tali buchi neri è talmente intenso che non gli può sfuggire nessuna particella, ivi compresi i fotoni di luce di un eventuale strumento di esplorazione.

I più eminenti astrofisici concordano sulle ipotesi che abbiamo precedentemente illustrato. Tra essi, il professor Rees dell’Università di Cambridge, che condivide l’ipotesi del professor Donald Lynden-Bell. Nel Monthly Notices of the Royal Astronomy Society, Rees afferma che al centro di ogni galassia esiste una stella morta che ha consumato tutto il suo combustibile nucleare.

Per effetto di un fenomeno gravitazionale, questa stella si è trasformata in buco nero, dal quale emanano intensissime radiazioni. La massa invisibile di tali buchi neri sarebbe dieci milioni di volte maggiore di quella del Sole.

La giustezza delle ipotesi di Robert Oppenheimer e di Fred Hoyle, riprese da Lynden-Bell e da Rees, è stata confermata dalle osservazioni realizzate nel 1973, tra ottobre e novembre, dal satellite americano Copernicus.

I ricercatori britannici dell’ University College di Londra sono attualmente in grado di affermare che i buchi neri esistono e che si tratta di cadaveri di stelle aventi una grande densità.

Essi confermano che una stella, quando le viene a mancare l’energia termica e nucleare, si contrae trasformandosi in nana bianca e, successivamente, in stella di neutroni. Se la stella originariamente possedeva una massa sufficiente, l’astro prosegue la sua contrazione sotto l’effetto di notevoli forze gravitazionali e finisce per collassare. Gli esiti finali di questo collasso sono tuttora misteriosi.

Critica all’ipotesi della creazione unica

La maggior parte delle teorie sulla formazione dell’universo in funzione di una creazione unica devono essere riviste. È il caso delle ipotesi formulate da Eddington e dall’abate Lemakre. Secondo tali ipotesi, in origine tutta la massa dell’universo sarebbe stata concentrata in un unico atomo con raggio molto piccolo, se non nullo. In questo momento sarebbe avvenuta la creazione unica. Procedendo da questa origine, l’universo subirebbe un continuo processo di espansione che, per effetto del suo andamento continuamente crescente, acquisterebbe un carattere esplosivo.

Tuttavia, scienziati sempre più numerosi contestano abbastanza nettamente la validità di tale ipotesi, tanto più perché parecchi di loro pongono in dubbio l’autenticità dell’espansione globale dell’universo. Pur ammettendo che tale esplosione sia avvenuta e proceda, come sostengono alcuni, da dieci miliardi di anni, questo processo riguarderebbe solamente il rovescio dell’universo.

Nessuno potrà mai affermare categoricamente che tale evento non sia mai avvenuto, né che non potrebbe essere seguito da alternanze di contrazioni ed espansioni. Questo era d’altro canto il significato dell’antico simbolo indù delle “inspirazioni ed espirazioni successive di Brahma”, citate nella teoria dei Pralaya e Manvantara. Ma la maggior parte di queste teorie mostrano spesso le tracce dei nostri condizionamenti umani.

Quando si ammette l’esistenza di una realtà suprema, soggiacente come il “Diritto” degli “Gnostici di Princeton”, queste alternanze di creazioni e distruzioni, di principi e di fini, assumono ben altri significati. Vista dall’infinita profondità di un centro che sta al di là della dualità fra il tempo e l’antitempo, l’evoluzione e il riflusso, l’esplosione universale (ammesso e non concesso che vi sia stata) apparirebbe istantanea, pur protraendosi, per noi, dieci miliardi di anni. In .base ai principi della relatività, le enormi differenze esistenti tra il raggio estremamente piccolo considerato nell’ipotesi dell’atomo primordiale e quello dell’attuale universo risulterebbero ben difficilmente rilevabili.

Questo discende dal fatto che tutto ingrandirebbe simultaneamente più o meno con la stessa proporzione e, in ogni caso, per tutti i corpi e tutte le distanze relative di una stessa galassia. Poiché nessun punto di questa galassia, neppure il suo nucleo, sfuggirebbe a queste modificazioni, se ne deduce che viene a mancare un punto di riferimento neutro, chiaramente individuabile, che permetta di compiere un’osservazione valida di qualsivoglia movimento di espansione o di contrazione.

Le differenze di velocità e l’allontanamento delle galassie o nebulose lontane rispetto a noi vengono dedotti in base a un effetto ottico conosciuto sotto il nome di “effetto Doppler-Fizeau“, provocato dallo spostamento verso il rosso o il violetto della frequenza della radiazione luminosa emessa dai corpi che, rispettivamente, si allontanano o si avvicinano rispetto all’osservatore.

Ma un numero sempre maggiore di fisici e astrofisici eminenti mettono in dubbio le vere cause dell’effetto Doppler-Fizeau. Citiamo fra questi Jaakola, Halton, R. Tournaire, Alfred Herrmann, e la maggior parte dei fisici sovietici.

Tutti costoro ritengono che le teorie relative all’espansione dell’universo in seguito a un big-bang iniziale siano ormai sorpassate.

I primi dubbi si sono manifestati fra gli astronomi e gli astrofisici in seguito all’osservazione di spostamenti anomali nelle righe spettrali delle galassie.

Sei anni fa sono giunti i primi segnali di allarme da parte di Halton Arp, dell’osservatorio di Monte Palo-mar. L’astronomo Jaakola ha constatato, poco tempo dopo, che le galassie a spirale presentano spostamenti nello spettro sistematicamente superiori a quelli mostrati da galassie ellittiche appartenenti allo stesso ammasso stellare.
Tali anomalie non si possono spiegare né con l’effetto Einstein,

né con l’effetto Doppler-Fizeau cosmologico, né con l’effetto Doppler semplice. A partire dagli anni 1972 e 1973, un numero crescente di fisici, tra i quali il francese Vigier e gli americani Pec-ker e Roberts, hanno proposto l’ipotesi che la massa dei fotoni non sia nulla. Anche Alfred Herrmann ha preso nettamente posizione in questo senso.

Se così fosse, le vere cause dell’effetto Doppler-Fizeau sarebbero ben altre e tutta la teoria del big-bang e dell’universo in espansione verrebbe definitivamente a cadere.

Come scrive Alfred Herrmann: «Se fosse vero che l’universo è nato da un’unica esplosione a partire da un solo atomo primordiale, dovremmo essere in grado di rilevarne ancora gli effetti.

Dato che avvenimenti di tale rilevanza si sarebbero prodotti dieci miliardi di anni fa, noi dovremmo vederne ovunque le tracce. I quasars, che si pensa siano vissuti miliardi di anni, sono visibili ancora oggi. I limiti estremi della volta celeste dovrebbero essere circondati da un immenso cerchio di fuoco rappresentante le vestigia dell’unica, apocalittica, esplosione di tutta la materia dell’universo. Ma non è così. In realtà, il big-bang non è che il prodotto della pura immaginazione e di un evidente antropomorfismo».

Bisogna far breccia nei rigidi steccati che ancora limitano il pensiero umano, a sua insaputa. Dobbiamo innanzitutto libetarci dall’influenza esercitata su di noi dall’immagine di una struttura materiale sollecitata fino all’angoscia quando la fisica la dematerializza e ci fa intrawedere, oltre le apparenze della superficie, una profondità infinita, un “Diritto”, una coscienza cosmica della quale anche noi facciamo parte. Successivamente, dobbiamo ammettere l’esistenza di una componente psichica nei costituenti della materia. Questa esigenza è chiaramente messa in luce nelle pubblicazioni del fisico belga Alfred Herrmann e del fisico americano Cyril Burt.

Senza ammettere questa componente, non si potrebbero realizzare i contatti tra la coscienza cosmica del campo unitario e l’essere umano. La presa di coscienza di questi legami e il capovolgimento di valori che essi operano in noi, rappresentano i soli mezzi a nostra disposizione per liberarci dagli pseudo-problemi che sorgono abitualmente quando tentiamo di approfondire i grandi misteri della vita, dell’universo, delle loro origini, dei loro destini. Tra i falsi problemi vanno annoverate anche le domande relative ai principi assoluti, ai fini, ai piani.

Sappiamo bene che non è possibile dare risposte adeguate a domande mal poste. Non esistono soluzioni di pseudo-problemi, né di problemi immaginari. Come scrive Jacques Kalmar: «Noi siamo chiusi entro mura inesistenti, ma che rappresentano, per la maggioranza degli uomini, confini più invalicabili di un bastione di cemento».

Cosmologia della Genesi secondo Suarès

A giudizio di Carlo Suarès, le nozioni di principio assoluto, di fine, scopo, piano e progetto sono degli antropomorfismi dei quali bisogna evidenziare il contenuto erroneo. Tale presa di posizione non significa affatto che le profondità dell’universo non siano dotate di natura spirituale. Anzi, i caratteri distintivi di una coscienza cosmica, atemporale, acausale, scendono proprio dall’affrancamento da tutti i condizionamenti antropomorfici che si pesano addosso, come le nozioni di principio assoluto, fine, scopo, piano.

Come dimostra Suarès, la maggioranza dei commentatori della famosa frase della Genesi «Al principio era il Verbo» si basano su un fondamentale malinteso. Nel suo importante studio La Bible restituée [22], Suarès dimostra che la Genesi è stata scritta in un linguaggio simbolico e minuziosamente codificato. Ogni lettera dell’alfabeto ebraico corrisponderebbe a un numero simbolico conosciuto dallo o dagli autori della Genesi. La conoscenza dei numeri corrispondenti alle lettere ebraiche costituisce l’unica chiave che permette di afferrare il significato profondo dei testi. Senza l’intervento del codice, essi contengono contraddizioni e inverosimiglianze assurde, quale, ad esempio, l’ordine impossibile secondo il quale sarebbe avvenuta la pretesa «creazione dei mondi».

Se leggiamo le prime parole della Genesi in ebraico: «Berecbyit bara E/obim» in forma esoterica anziché essoterica, scopriremo un significato non solo diverso, ma addirittura opposto a quello generalmente accettato nelle religioni giudeo-cristiane. «.Berecbyit bara Elohirm> letto esotericamente, grazie al codice fornito dai numeri delle lettere, significa che non vi è principio e che solo il nostro pensiero, condizionato dall’ottica di principio e di fine, insieme alle innumerevoli interferenze frapposte tra i soggetti osservanti e i fenomeni osservati, crea la nozione illusoria del principio e della fine e le stesse immagini dell’universo.

Suarès scrive a tal proposito: «Contrariamente alle tradizioni generalmente accettate, la Genesi biblica non offre per questo mistero (la creazione dell’universo) spiegazioni che facciano intervenire altri misteri. La parola “Dio” non esiste nella Bibbia. Elohim e Yhwh sono ben altra cosa. Il postulato originario è quello dell’esistenza di un’Energia-Una. Essa, nella sua essenza, sfugge al pensiero. Essa viene rappresentata dall’ideogramma Aleph. Questa energia-suono strutturata, atemporale, sempre rinnovantesi, creatrice, vera vita dell’universo, non è percepibile poiché tutto quello che noi percepiamo è afferrato dalla nostra struttura sensoriale, psichica, mentale. Ma l’Aleph si rivela attraverso la sua azione, lo Shin».

Suarès si riallaccia qui agli insegnamenti del buddhismo Ch’an e di Krishnamurti, che la realtà fondamentale non potrà mai essere capita, immaginata intellettualmente, ma non potrà che essere vissuta. Ma, in quale modo? Per tentare di capirlo, ricordiamo che tutto è movimento: moti di traslazione lineari, macroscopici, che avvengono qui, alla superficie, nel tempo e nello spazio. Moti di trasformazione nella natura, ai livelli subatomici e subprotonici; movimento di pura creazione, infine, a livello della profondità ultima, movimento atemporale, acausale, autogeno, non lineare. Nessuna immaginazione, nessun simbolo, nessuna formula della matematica trascendentale possono rappresentare questa sorta di pulsazione creativa diversa da tutto quanto può essere elaborato dal nostro pensiero.
Per queste ragioni Suarès scrive: «La nostra capacità di pensiero è inadeguata se vogliamo esprimere con il linguaggio quotidiano una realtà vitale quale l’esistenza e la stessa vita. Le parole che il nostro pensiero ha elaborato appartengono a un mondo nel quale tutto è misurabile e contraddittorio». Suarès qui si avvicina a Sté-phane Lupasco quando scrive: «In realtà, la contraddizione esiste nello stesso pensiero che ha elaborato queste parole. È assurdo tradurle «al principio». Significa proiettare dall’inizio il pensiero su una via sbagliata e paralizzarlo nella morsa di una fede. In quanto credenti, pensiamo a Dio in termini umani. Gli attribuiamo dei pensieri, una volontà, dei progetti, un programma di sviluppo e tutta una psicologia».
r uarès dimostra il carattere aberrante delle intenzioni umane attribuite a un Dio immaginario. Noi elaboriamo un procedimento di pura immaginazione nel corso del quale ci pensiamo nei nostri lapponi con lui, e, per questo motivo, tutto quel che pretendiamo sapere di lui è immaginario. Si tratta di stati autoproiettati.
Il merito maggiore della recente evoluzione delle scienze fisiche sta neh’averci mostrato un universo in perpetua trasformazione,

sfidando le inadeguate immagini mentali suggerite dai nostri antropomorfismi. Le scienze e i loro metodi investigativi sempre più perfezionati ci rivelano lo spettacolo di universi che nascono mentre altri scompaiono. Sottostante a queste distruzioni e ricostruzioni, esiste l’unità di un’essenza universale eternamente presente. «Esiste — dice Suarès — un’immanenza creatrice, atemporale, discontinua e sempre rinnovata, che non ha né passato, né futuro, ma è sempre presente e nella quale il ritmo vita-morte costituisce un tutto unificato» [23]. Ma queste sono le caratteristiche del campo unitario non lineare messo in evidenza dai fisici.

A questo livello, i concetti di tealizzazione, di progetto pianificato nel tempo, di volontà, non sono soltanto impensabili, sono totalmente assurdi.

Esiste un solo processo: un’azione gratuita, uno spontaneo moto di creazione. La caratteristica intrinseca a questo moto di creazione è ben più simile alla gratuità di una specie di gioco che ai calcoli interessati di una entità personale, possessiva, vendicativa, creata a nostra immagine.

Troviamo lo stesso clima di gioco cosmico nel concetto indiano di Li/a: un gioco cosmico di continue invenzioni che non sono realizzate in vista di… o allo scopo di… Per Raymond Ruyer «Il regno di Dio vive nel più profondo delle nostre anime, nella gioiosa sottomissione alle leggi immutabili e, per gli scienziati, nel divertimento di invenzioni sempre nuove». A tale livello, la gioia creatrice dell’invenzione è l’espressione umana di un gioco cosmico.

Ma la maggior parte degli osservatori, confusi dalle apparenze esteriori, e rifiutando per ignoranza le regole del gioco, lo vedono in modo unilaterale come scontro doloroso tra antagonismi a tutti i livelli: antagonismi tra i principi energetici, come mette in evidenza Lupasco, opposizioni di avversi dualismi, scontri fra elementi positivi e negativi, fra elementi dinamici costruttori dell’avvenire ed elementi conservatori del passato, e così via.

Visti dal punto di osservazione sulla superficie esterna dell’universo, le espressioni del gioco cosmico possono assumere l’aspetto di drammi crudeli e senza sbocco, privi di ogni significato. Visto dalla profondità delle conoscenze rivelateci, tanto delle scienze attuali nella loro ultima evoluzione, quanto dei più elevati vertici della realizzazione spirituale, il gioco cosmico si spoglia di questo suo carattere drammatico e angoscioso. Non è più insensato né rivoltante purché non lo si guardi dalla periferia conflittuale e contraddittoria, ma dal centro.

Questo centro o “Diritto” dell’universo secondo gli “Gnostici di Princeton” acquista allora la posizione di priorità che avevamo ininterrottamente proposto. Da essa la creazione e la distruzione continua delle forme intervengono quali elementi secondari e derivati rispetto alla realtà fondamentale, unica, della vita atemporale. Allora percepiamo l’eternità segreta di ogni istante presente nel cuore stesso dei dettagli della nostra esistenza spaziotemporale.

Ma ciò richiede che venga considerevolmente ampliato il nostro campo visivo e che ci sappiamo affrancare dagli antropomorfismi puerili che ci pesano addosso. Come scriveva il poeta e mistico inglese William Blake: «Il ruggito dei leoni, l’ululato dei lupi, la furia della tempesta… sono porzioni di eternità troppo grandi per l’occhio dell’uomo». La visione dell’uomo illuminato dal “Diritto” unico dell’universo permette, sola, di afferrare e vivere la segreta grandezza della natura.

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