• Passa al contenuto principale
  • Passa alla barra laterale primaria
  • Home
  • Blog
  • About
  • Termini e condizioni
Rupzo

Rupzo

Parapsicologia, Scienze Occulte ed Esoterismo.

Misteri Irrisolti

Misteri Irrisolti

Febbraio 11, 2022 by William Rupzo Lascia un commento

Misteri Irrisolti nella nostra Società Contemporanea, perché nessuno ha interesse ad approfondire?

Ufo, Civiltà Scomparse del Passato, Parapsicologia, Bio Hacking, Esoterismo ….

Nel 1957 lo scienziato e scrittore francese Jacques Bergier tenne una trasmissione alla televisione francese che fece scalpore.

Il tema della serata era uno dei grandi misteri della Preistoria: la scomparsa pressoché improvvisa dei dinosauri, avvenuta circa 65 milioni di anni or sono. Secondo Bergier la catastrofe era stata causata dall’esplosione di una stella – una supernova – che in quei tempi si trovava troppo vicina alla Terra.

In questa sua fantasia si era spinto ben oltre: l’apocalittica deflagrazione non era avvenuta in modo naturale, ma innescata da esseri superiori, desiderosi di lasciare libero il campo del nostro pianeta al sorgere e all’imporsi di animali intelligenti, del tutto diversi: i mammiferi.

Se già la prima parte della teoria venne bollata dagli scienziati come il delirio di un visionario, possiamo immaginare cosa si disse in merito alla seconda; né ci fu miglior reazione quando nel 1970 Bergier tornò sull’argomento con un libro intitolato Extra-Terrestrial in History, che iniziava con un capitolo intitolato La stella che cancellò i dinosauri.

Tuttavia, cinque anni dopo un geologo americano di nome Walter Alvarez, intento a studiare un sottile strato di argilla sul fianco di una collina in Italia – per l’esattezza proprio in corrispondenza di quello strato geologico che fa da spartiacque fra l’era dei grandi rettili (Mesozoico) e quella immediatamente successiva che vide l’avvento dei mammiferi – non poté fare a meno di riportare in primo piano la questione, domandandosi quale strepitosa energia quale misterioso fenomeno avesse spazzato via in un sol colpo intere specie animali.

Decise di portarsi dietro in California un frammento di quello strato geologico per consegnarlo al padre, l’eminente fisico Luis Alvarez, accompagnato dal seguente commento: «Papà, eccoti un residuo dello strato geologico, spesso non più di pochi millimetri, corrispondente al periodo in cui i dinosauri, e con loro almeno il 75% delle restanti specie animali, scomparvero dalla faccia della Terra».

Il padre ne restò così affascinato da sottoporre il campione ad attenti e approfonditi test di laboratorio. Tra le molte risultanze, scoprì che nel campione abbondava l’iridio, un elemento pesante e raro, comune

nell’amalgama che compone la massa dei pianeti e che solo un’esplosione aveva potuto portare in evidenza. Poco a poco anche papà Alvarez venne conquistato dall’idea della stella esplosa e dedicò non poche energie a dimostrarla, recedendo dal proposito solo quando scoprì la totale assenza del platino radioattivo, sostanza che invece avrebbe dovuto necessariamente esserci se si fosse davvero trattato del collasso di una supernova.

Esisteva però un’altra possibilità, una più che valida alternativa: la Terra si era scontrata con un gigantesco meteorite, che aveva saturato l’atmosfera di fumo e gas con il conseguente innesco di un potentissimo “effetto serra”, capace in breve tempo di innalzare la temperatura di parecchi gradi.

Sappiamo che gli attuali coccodrilli e gli alligatori sono in grado di resistere anche a temperature che toccano quasi i 100° C, ma basta uno sbalzo di due o tre soli gradi in più per condannarli a morte. Ebbene, questo è quello che, quasi certamente, accadde ai dinosauri circa 65 milioni di anni fa. Ecco perché in questo libro non troverete un capitolo intitolato Che cosa capitò ai dinosauri?; semplicemente perché conosciamo la risposta. Dopo tutto, la tanto bistrattata ipotesi “da pazzo scriteriato” di Bergier non è poi andata così lontana dalla verità.

Questo è il messaggio di fondo che sottende tutte le pagine di questo lavoro. Voglio mettere in evidenza che è sempre incauto e pericoloso tentare di tracciare una netta linea di separazione fra ciò che può essere classificato come una ipotesi “stravagante” e la scienza ortodossa. Nel capitolo dedicato al fenomeno dell’autocombustione umana spontanea abbiamo citato un moderno testo medico in cui si afferma che il fenomeno è letteralmente impossibile sotto il profilo sia medico che scientifico. Coloro che ne portano testimonianza, mentono o si sono ingannati. Chissà. Ci è voluto più di mezzo secolo, da quando la scienza incominciò a studiarlo, prima che il concetto delle meteoriti che cadevano dal cielo venisse accettato come verità sacrosanta.

Il poltergeist, detto anche fenomeno degli “spiriti burloni” è senz’altro un evento assai più comune e diffuso che non quello, assai raro, della autocombustione spontanea. C’è stato un momento in cui casi di poltergeist venivano segnalati in ogni angolo del mondo. Eppure, proprio in questo periodo in America nasceva il CSICOP (Comitato per la investigazione scientifica dei cosiddetti fenomeni paranormali), il cui scopo prioritario era quello di dimostrare che il “paranormale” non esiste, ma è soltanto un’invenzione di truffatori e imbroglioni. Chiunque abbia, anche solo alla

lontana, avuto a che fare con questo mondo straordinario, sa benissimo che le cose non stanno affatto in questo modo e che negare l’evidenza è un comportamento di cecità scientifica inutile e persino ridicolo.

Due parole sulla questione, per non essere fraintesi. Sia chiaro: non sto dicendo che essere scettici e diffidenti sia qualcosa di sciocco. Tutt’altro. La razionalità, la ragione sono gli strumenti più raffinati che l’uomo ha a disposizione e ogni istante della nostra vita ci costringe a sviluppare continue valutazioni probabilistiche. Anche un’azione semplice come quella di attraversare una strada trafficata richiede questo genere di operazione. Se non sono in grado di valutare distanze e velocità, sarà difficile che approdi sano e salvo dall’altra parte della strada. Lo stesso, e ancor più, vale per uno scienziato, chiamato a valutare le prestazioni di un paragnosta israeliano che si dice capace di piegare chiavi metalliche soltanto sfregandole dolcemente.

Per farlo, lo studioso non può far altro che passare in rassegna tutto ciò che conosce e sa sulle chiavi e da qui partire per una valutazione delle probabilità che il fenomeno sia reale. Non dovrà però – ed è questo che tengo a sottolineare – assumere un atteggiamento aprioristico, decidendo che la questione non valga la pena di essere investigata solo e soltanto perché non la capisce o lo sconvolge. Se è una persona onesta si ritira senza commento, oppure decide di approfondire lo studio per arrivare a svelare il mistero.

La maggior parte degli scienziati risponde che è esattamente quello che loro fanno. All’inizio, di norma, succede così, poi le cose cambiano. Infatti, proprio come noi, anche gli scienziati sono esseri umani e come tutti sono orgogliosi, impazienti, imprudenti, insensibili. Insomma, anche loro sono tutt’altro che infallibili e sovente non sanno più discernere dove si trovi il sottile confine che separa un corretto approccio scientifico da un atteggiamento in cui il criterio scientifico dà luogo a un coinvolgimento emotivo.

Uno dei membri più brillanti e meno dogmatici del CSICOP è il celebre matematico Martin Gardner, il cui libro Fads and Fallacies in the Name of Science è uno dei testi più intriganti e divertenti dedicati a quello che lui definisce il “culto dell’irrazionale”. Nelle sue pagine leggiamo del profeta Voliva, che credeva che la Terra fosse piatta; del capitano Symmes, che la credeva vuota; di Cyrus Tedd, che invece la immaginava a forma di uovo, con l’umanità ospitata nel suo guscio interno. Gardner se la prende con le sette religiose, come i Testimoni di Geova, oppure con tutti quei creduloni

che sostengono che la Grande Piramide di Giza nasconde al suo interno la chiave simbolica che preannuncia il secondo ritorno di Cristo. E così via. Il libro scorre fra amenità di questo genere. Peccato che dopo un po’ di capitoli chi legge viene assalito da una strana sensazione di fastidio al cospetto di uno sfoggio di sapienza tanto devastante. E allora, spontaneamente, si dice in cuor suo: sarà, ma questo autore, che mi sembra per davvero un intelletto superiore, è forse uno che ha scoperto il segreto della verità eterna? Con quale presupponenza può ricondurre un rabdomante alla ricerca dell’acqua a mera superstizione; immaginare che tutti, ma proprio tutti, i testimoni di un evento ufologico si siano sbagliati o siano dei cialtroni; credere che Atlantide sia una pura fantasia di Platone, oppure che le ultime idee di Wilhelm Reich siano frutto di una mente bacata?

La questione, alla fine, si riconduce a una sola: vedere dove si decide di tracciare la famosa linea di demarcazione di cui si è detto. Faccio un esempio, per spiegarmi meglio.

Da parte mia sono convinto che, alla fin fine, Immanuel Velikovsky è un bluff, vale a dire che le sue teorie che collegano il pianeta Venere con le catastrofi di cui si parla nella Bibbia non sono frutto di speculazione di stampo scientifico, ma di forme di ispirazione mentale. Ciò non toglie che io riconosca in molte delle sue intuizioni un valore straordinario, come, per esempio, l’osservazione che la Terra è circondata da un campo magnetico di formidabile potenziale. Sono molti, d’altro canto, i filosofi della scienza come Karl Popper, Michael Polanyi e Abraham Maslow che si dicono sempre più convinti che il progresso del pensiero scientifico proceda più attraverso la “ispirazione” che non un ragionamento rigoroso, per l’appunto strettamente scientifico. Tornando a Gardner: mi dà l’impressione che abbia tracciato la sua linea di demarcazione nel posto sbagliato.

Ho scritto una biografia di Wilhelm Reich e sono il primo ad ammettere che si trattava di un uomo dogmatico e paranoico, con un carattere a dir poco impossibile. Ma la questione sta nel fatto che lui, al pari di alcuni altri suoi colleghi psicanalisti, si era ritenuto in diritto di indossare un manto di infallibilità ereditandolo da Freud. Tutte le nevrosi trovano origine nella sessualità e pertanto chi è nevrotico non è in realtà capace di risolvere i suoi problemi a livello del sesso. Non siete d’accordo? Ma certo. Non lo siete perché anche voi siete nevrotici e negando non fate altro che riconoscere la vostra impossibilità a risolvere i vostri affanni sessuali. Sotto questo aspetto Reich è come il dottor Johnson: se non vi fa fuori con un colpo perché

sbaglia la mira, vi accoppa con il calcio del fucile. In definitiva, chiunque non concordi con le sue idee è “insano di mente”. Ebbene, il libro di Gardner è pieno zeppo di queste forme brutali e acide di dogmatismo assoluto. Sotto sotto, cova l’asserto che l’autore è infallibile. Il lettore lo potrà accettare, se crede, ma prima di farlo lo riterrà una possibilità e come tale cercherà di approfondire meglio quali siano le certezze che rendono chi scrive così convinto di non poter essere contestato.

E meno male che è così, perché se solo l’atteggiamento di cui Gardner è paladino diventasse un modo comune di pensare, entrasse a far parte del cosiddetto “buonsenso” acritico, sarebbe un vero disastro. Perché il progresso dell’uomo è sempre dipeso da quel tocco di scetticismo che gli consente di avvicinare anche quegli interrogativi e quelle questioni apparentemente “impossibili”. Da cento anni a questa parte, la comunità scientifica considera la teoria dell’evoluzione, tramite la selezione naturale proposta da Darwin, alla stregua di un assioma scientificamente inattaccabile. Oggi non è più così e sono tanti i biologi che incominciano a vederci delle crepe. Cinquant’anni fa la teoria freudiana delle nevrosi a sfondo sessuale non veniva messa in discussione ed era accettata da tutti gli psichiatri. Oggi è il contrario e quasi tutti ne riconoscono i limiti. All’inizio del secolo scorso, un fisico che avesse anche solo osato mettere in forse la teoria gravitazionale di Newton veniva additato come pazzo. Vent’anni dopo, la sua teoria venne completamente scalzata da quella proposta da Einstein anche se, diciamocelo pure, quasi nessuno era in grado di comprenderla. Da tutto questo consegue come assolutamente plausibile la possibilità che i nostri discendenti del XXII secolo si meravigleranno della nostra ignoranza, chiedendosi quale stupidità possa averci condotto a ritenere vere ipotesi come quelle di Darwin, Freud o Einstein.

Un capitolo del libro di Gardner è dedicato all’americano Charles Fort, il quale trascorse tutta la vita accusando gli scienziati di dogmatismo, invitandoli a rivedere il loro atteggiamento di rigidità e a porre costantemente in dubbio le loro presunte certezze. Gardner non solo accusa Fort di eccessivo criticismo, ma anche di non offrire alcuna teoria alternativa e, pertanto, con sidera tutta la sua ricerca sterile. In parte questo può anche essere vero. Ma ciò che Gardner sembra non aver compreso è l’accusa di fondo mossa da Fort: la scienza è troppo ingessata e rigida nel suo modo, quasi ottuso, di essere. Fort parte dal principio che ogni scoperta scientifica scaturisce da un senso di meraviglia e che è senz’altro meglio

una scienza che unisca questa sensazione a un pizzico di follia, che non un dogmatismo marxista, cieco e persino privo di un tocco di umorismo. Lo stesso Newton era fortemente attratto dall’alchimia e considerava il suo commentario al libro biblico di Daniele la sua opera eccellente. Per questo dobbiamo classificare Newton come un ciarlatano? Ovviamente no. Insomma, quel che voglio dire è questo: è di certo meglio ammettere la possibilità che nel Loch Ness sopravviva un gigantesco mostro marino preistorico che liquidare la faccenda come follia, senza aver svolto neanche un’indagine. È di gran lunga più intrigante e prolifico accettare come ipotesi che gli UFO esistano come realtà concreta che non cassare tutti gli avvistamenti alla stregua di allucinazioni. Così come è più affascinante immaginare che non sia stato Shakespeare a scrivere tutti i capolavori che la letteratura gli assegna o che Andrew Cross ha per davvero creato la vita artificiale in laboratorio, oppure ancora che Orffyreus ha scoperto il moto perpetuo, piuttosto che liquidare tutto con un’alzata di spalle dicendo che sono solo fanfaluche.

La carriera di Ian Wilson, un caro amico iscritto alla categoria degli “scettici”, mi ha offerto infiniti spunti di divertente osservazione. Dopo essersi convertito al cattolicesimo, nel fervore della scelta scrisse un poderoso libro in cui difendeva a spada tratta l’autenticità della Sindone conservata nella città di Torino. Dopo qualche tempo, diede alle stampe un altro lavoro dal titolo Mind out of Time, nel quale con una brillante dialettica attaccava alcuni presunti “ricordi di vite passate”, come per esempio il celeberrimo caso di Bridey Murphy (la Chiesa cattolica non ha mai condiviso il concetto di reincarnazione). Poi gli venne chiesto di prendere parte a una serie televisiva di incontri basati sulla casistica raccolta dalla Società per la ricerca psichica. Nel corso delle trasmissioni Wilson ebbe modo di smantellare alcuni casi clamorosi come quello di Croglin il vampiro, pur dichiarando che per molti altri casi, specie quelli in cui sono coinvolti fantasmi, la contestazione non è sempre facile da mettere in gioco. Poi si occupò dei fenomeni spiritici e, pur smascherando anche in questa circostanza un buon numero di testimonianze fasulle, fu costretto ad ammettere che comunque l’idea della sopravvivenza non solo era plausibile, ma tratteneva in sé una carica molto forte. Uno dei suoi libri più recenti si intitola Superself e si occupa dei poteri insoliti della nostra mente, compresa la rabdomanzia e il potere di guarigione. Alla fine, fra contrasti e ripensamenti, Wilson arriva a una conclusione che forse lui stesso non si

aspettava, vale a dire riconoscere la consistenza di una realtà che chiama “mente superconscia”. Eccoci di fronte al caso di un uomo, un ricercatore, che ha avuto la pazienza e l’onestà di affrontare con grande passione lo studio di alcuni fenomeni del paranormale, giungendo a concludere, contro le sue ipotesi di partenza, che alla fine del viaggio il suo scetticismo era stato fortemente minato, arrivando, da ultimo, a riconoscere, seppur con un certo imbarazzo, di aver fatto compiere alla propria mentalità investigativa se non un ribaltone totale certamente una rotazione di almeno 180 gradi. Altro esempio classico di questo approccio completamente scettico nei confronti di tutto ciò che suona strano, lo troviamo nel libro Secrets of the Super-natural, scritto da Joe Nickell e John Fischer. L’intento primario dei due autori è quello di risolvere alcuni enigmi ricorrendo alla pura investigazione scientifica. Nel primo capitolo si parla di un caso di infestazione accaduto presso la famiglia Mackenzie a Toronto. I testimoni citati che sostengono di aver visto fantasmi e udito rumori soprannaturali sono tantissimi. Poi arriva la rivelazione. Grazie alla perspicacia dei due ed alla testimonianza del custode della casa accanto, si viene a scoprire che colpi e rumori misteriosi giungevano proprio da lì, come “telegrafati” spiriticamente alla “casa infestata”.

Un’altra parte di disturbi proveniva senz’altro da un boiler a parete difettoso. Ammettiamo di crederci; ma che dire delle apparizioni di fantasmi? Non se ne parla proprio, perché la tacita ammissione sta nel fatto che una volta dimostrati falsi i rumori, anche tutto il resto si svuota di senso e non interessa più. Per chi crede – come nel mio caso e chissà quanti altri fra i lettori – nell’esistenza dei fantasmi come concreta realtà, diventa difficile pensare che l’apparizione di una donna tenebrosa e di un uomo in saio sia dovuta al malfunzionamento di un boiler per riscaldare l’acqua!

Eppure, curiosamente, questo errore sembra tipico in quasi tutti coloro che si professano scettici. William James faceva notare che se qualcuno avesse intenzione di farvi credere che i corvi non sono neri, non è necessario vi provi che tutti i corvi non sono neri, ma è sufficiente vi dimostri che almeno uno è bianco. Allo stesso modo un libro pieno zeppo di casi fasulli o chiaramente bugiardi non prova altro che quegli stessi casi non sono affidabili. Ma basta un solo evento paranormale pienamente riconosciuto come tale a demolire sin dalla radice l’argomentazione che identifica tutto il mondo del paranormale come fraudolento.

La verità sta nel fatto che, per fortuna, la conoscenza umana dipende soprattutto dal continuo porsi degli interrogativi. Una mucca non imparerà mai nulla perché non si pone domande. Il suo mondo è esattamente quello che le appare, niente di più e niente di meno, e in merito non c’è null’altro da dire o aggiungere. Ma quando Talete osservava un’eclissi voleva conoscerne le cause. Newton non si è forse formulato quella banale domanda che suonava: perché una mela che si stacca dal ramo cade a terra invece di volare verso l’alto? E Einstein non si è forse chiesto: che cosa accadrebbe di me se potessi cavalcare un raggio di luce? Interrogativi apparentemente sciocchi, che hanno però fruttato grandemente. Se Martin Gardner li avesse affrontati senza alcun interesse, di certo non sarebbero stati così proficui.

Proviamo a considerare una questione sollevata dallo zoologo Ivan Sanderson. In una sera di luna piena, lungo una polverosa strada di Haiti, lui insieme alla moglie vivono la curiosa allucinazione di trovarsi a Parigi durante il XV secolo. (La storia compare per esteso in questo libro nel capitolo intitolato Il tempo “fuori tempo”). Se sposassimo l’atteggiamento di Gardner non ci sarebbero possibilità, perché, in realtà, il fatto non sussiste: Sanderson e la moglie quella sera erano sbronzi o sognavano a occhi aperti. Ma è chiaro che non è così. Chi lo conosce bene (proprio in questo momento ho davanti a me una sua lettera) garantisce sulla sua cristallina onestà. Vale infine la pena ricordare anche la testimonianza dei domestici dei Sanderson, i quali avevano saputo, prima ancora che i loro padroni rientrassero a casa, sul limitare dell’alba, che erano stati coinvolti in un incidente, sebbene avvenuto in un luogo deserto e solitario.

Dalla singolare esperienza Sanderson emerge con l’altro inquietante interrogativo, se la mente si possa identificare col cervello. In merito menziona il caso di un uomo morto in un ospedale di New York. L’autopsia rivelò che era privo di cervello e che la sua scatola cranica conteneva soltanto “una mezza coppa di acqua sporca”. La storia, ancora una volta, suona come fantastica, una di quelle che non vale neppure la pena di prendere in considerazione. Peccato che all’inizio degli anni Ottanta il professor John Lourber della Università di Sheffield scoprì uno studente, che vantava un quoziente di intelligenza pari a 126, che aveva la scatola cranica “piena d’acqua”. Una scansione radiografica della testa rivelò infatti che il suo cervello si riduceva a nient’altro che una sottile pellicola non più spessa di un millimetro. Come poteva vivere normalmente quel ragazzo, se

era praticamente privo del cervello? Lourber, un’autentica autorità nel campo della idrocefalia (“acqua nel cervello”), sostiene di essersi imbattuto in molti casi di gente perfettamente normale la cui scatola cranica era colma al 95% di acqua, ed afferma che una percentuale variabile dal 70 al 90 rientra in una diffusa normalità.

Ne deduciamo: se una persona è in grado di pensare anche senza cervello, ciò significa che la capacità di pensare è una funzione che esiste in modo indipendente dalla massa cerebrale.

Ma torniamo all’esperienza vissuta dai Sanderson. La questione è legata alla reale natura del tempo. Qualsiasi ragionamento scientifico, anche quello meno dogmatico, impone che non è possibile scivolare indietro nel passato o scattare in avanti nel futuro. Quando si tratta del passato, si può tuttavia immaginare uno slittamento legato alla ripetizione di una sorta di “registrazione” di ciò che già è stato. Ma quando qualcuno prevede il futuro, la cosa si fa assolutamente impossibile, dal momento che per definizione il futuro non è ancora mai accaduto. Ciò malgrado, sono tanti i casi di coloro che sostengono di essere riusciti a gettare un’occhiata sul tempo che verrà. (In proposito, ricordo che una volta in un programma televisivo presentai proprio una di queste persone, un signore irlandese, Lord Kilbracken, il quale era solito sognare in anticipo il vincente delle corse dei cavalli e grazie a questa dote straordinaria si era arricchito). Tutte queste cose fanno intendere che di certo c’è qualcosa che non quadra nella visione del mondo che ci circonda così come ce la propongono i nostri sensi. In effetti basterebbe fermarsi solo un istante a considerare che per davvero ci deve essere qualche frattura in una logica di pensiero che si ostina a dirci che ogni cosa, ogni evento ha un principio e una fine, mentre, paradossalmente, l’oggetto topico del nostro interesse, vale a dire l’universo, sembra essere il primo a sfuggire a questa regola.

Un buon motivo questo, per esempio, per prendere con le molle tutte le conclusioni del CSICOP. Attenzione: qui non si tratta soltanto di verificare se l’ESP piuttosto che la telepatia siano o no fenomeni da indagare in modo serio, quanto piuttosto stabilire – ipotesi che Martin Gardner sottoscrive – se nella sua natura più profonda il mondo che ci ospita è qualcosa di razionale e, diciamo, “normale” come potrebbero essere i romanzi di Jane Austen o Anthony Trollope. In apparenza, questo atteggiamento sembra essere il più logico, dal momento che quando ci svegliamo la mattina esso ci appare perfettamente “normale” ed è assai difficile che nel corso della

nostra giornata ci possa capitare qualche avvenimento che ci induca a pensare diversamente. Ma è proprio in questi termini, allora, che l’universo si pone come qualcosa di “non discutibile” agli occhi e alla sensibilità della nostra mucca, prima citata. Infatti, è solo quando, ricorrendo all’intelligenza curiosa, incominciamo a porci delle domande che esso si rivela un luogo decisamente più strano, singolare e misterioso. Per fortuna, sono ancora molti gli scienziati che concordano pienamente con questa concezione, perché per loro la scienza non può prendere le mosse che da un profondo senso di mistero e ignoto. Sull’altra sponda si schiera però un esercito altrettanto folto, ma grazie al cielo non soverchiante, di altri studiosi per i quali ogni cosa, ogni mistero può essere affrontato e risolto con il semplice ausilio di una logica stringente, quella alla Sherlock Holmes, tanto per intenderci. Peccato che la realtà suoni campane diverse, dal momento che gli slittamenti temporali o le precognizioni, i fenomeni di sincronicità, quelli legati al poltergeist o le esperienze fuori dal corpo rendano, sin da subito, frustrata questa prosopopea investigativa. Purtroppo, il concetto di fondo è questo: la scienza è la panacea per ogni cosa e risolve ogni cosa, ma a patto che agisca all’interno di confini ben definiti; tutto ciò che fuoriesce da questi confini non è oggetto meritevole di indagine scientifica.

A questo punto viene spontaneo domandarsi: cosa c’è che non funziona in un ragionamento simile? Ebbene: nessuno potrà mai rimproverare un poliziotto per non essersi interessato alla mistica o alla filosofia. Semplicemente perché non è il suo mestiere. E perché dunque rimbrottare un fisico se non si appassiona al poltergeist o alla fenomenologia ESP?

Rispondere è facile: i preconcetti che nutre nei confronti dell’universo sono gli stessi che mostra nei confronti della mente umana. Nel XIX secolo veniva tenuto in nessun conto se uno scienziato si occupava di ricerca psichica oppure se la riteneva una perdita di tempo. Ma a partire dalla seconda metà del secolo successivo, le cose sono cambiate. La scienza ha preso ad occuparsi di molte straordinarie ipotesi, come, per esempio, se l’universo contenesse undici o più dimensioni oppure se i buchi neri altro non fossero che ingressi preferenziali per un “iperspazio” dimensionale, portali di accesso alla possibilità di viaggiare senza tempo in lungo e in largo nello spazio. Russi e americani hanno condotto esperimenti psichici importanti, ricorrendo all’ESP come strumento di comunicazione con sottomarini immersi in profondità sotto la calotta polare. Così, all’improvviso, la questione dei limiti che contraddistinguono la mente

umana è diventato l’argomento di maggiore consistenza scientifica. Se siamo nati dal caso come uno dei tanti prodotti fortuiti dell’universo, ebbene la nostra posizione potrebbe semplicemente essere quella di meri spettatori e l’estensione di un nostro possibile intervento nel mondo non potrà che risultare limitata. Ma se le cose non stanno così e se, tanto per citare ancora lo stesso esempio, ciò che accadde ai coniugi Sanderson non è frutto di allucinazione ma è vero, essendo una delle tante e ancora sconosciute manifestazioni della nostra mente, allora l’intero quadro evolutivo, così come Darwin e tanti altri dopo di lui ci hanno proposto, va assolutamente riveduto dalla radice.

Prendiamo in considerazione lo straordinario caso dei gemelli calcolatori di cui si parla nel capitolo L’enigma dei gemelli identici. Un numero primo, al pari di 3, 7, 13 e così via, non può essere diviso per nessun altro salvo che per se stesso e per uno; ma non esiste a livello matematico un metodo facile e chiaro che ci consenta di dire all’istante se un tal numero appartiene alla schiera dei numeri primi. L’unico sistema è quello, armati di santa pazienza, di mettersi a fare le prove, testando un numero dopo l’altro in successione per vedere se risulta divisibile. Quando si tratta di un numero alto – per esempio di 5 cifre – il metodo più rapido consiste nell’andare a consultare le tavole dei numeri primi, ma anche per fare questo occorre un po’ di tempo. I due gemelli, anche al cospetto di numeri alti, rispondevano all’istante, senza errore e, se permettete, la cosa è alquanto strana. Lasciato da parte il mistero del come arrivavano a tanto, ciò che ancor più intriga è cercare di capire come questo fenomenale potere si sia sviluppato nel corso dell’evoluzione umana. Stando a Darwin, il meccanismo principe dell’evoluzione consiste nella “sopravvivenza del più adatto”. Il ghepardo corre più veloce e il canguro salta più lungo dell’uomo perché per sopravvivere hanno sviluppato nel tempo queste caratteristiche fisiche. La maggior parte degli animali non sa valutare un numero, salvo che si tratti di poche unità. L’uomo è stato costretto ad imparare a contare nel momento in cui la società si è fatta sempre più complessa. Ciò nonostante sono tantissime le persone che, come si dice, “non vanno d’accordo coi numeri”. Ci chiediamo allora: come è possibile che qualcuno invece non solo viva per i numeri, ma addirittura compia mentalmente e in modo istantaneo operazioni matematiche per la risoluzione delle quali anche un potente computer impiega del tempo?

Mi pare che esista una sola risposta: non siamo nel giusto quando riteniamo che la mente dell’uomo operi come un computer. Essa, infatti, sembra possedere anche quello che potremmo definire un “metodo alternativo”. E non è da escludere che si tratti di quello stesso singolare metodo che ha consentito ai Sanderson di slittare nel tempo. La cosa sembra plausibile, se solo riconosciamo – come in effetti è – che l’intuizione funziona o, meglio, si innesca secondo modi misteriosi. Ma quando affrontiamo un caso di precognizione, nel quale si vede con limpidezza il futuro, non possiamo chiamare in causa solo l’intuizione. La nozione che il tempo abbia un andamento unidirezionale, si muova cioè verso un unico senso che è il futuro, è uno dei fondamenti della scienza occidentale e, a ben pensarci, ogni cosa dipende da questo concetto. Se un giorno si dimostrerà che la precognizione è qualcosa di possibile, tutto il nostro modo di vedere il mondo dovrà subire una trasformazione a dir poco radicale.

Per gli scienziati del XIX secolo questa idea costituiva un fortissimo cruccio, ecco perché la maggior parte di loro si è opposta a quella che viene genericamente definita “ricerca psichica”. Essa, in parole povere, si poneva come l’antitesi più piena di ogni principio scientifico; una sorta di ritorno al mondo della superstizione, al reame delle streghe e delle loro magie, invece che a quello dell’esperimento e dell’analisi. Attorno al 1848 questo atteggiamento si era fatto così drastico che una buona scrittrice che si chiamava Catherine Crowe stabilì che era giunto il tempo di protestare. Decise che, anche a costo di grandi fatiche, avrebbe raccolto gli esempi più clamorosi di esperienze “soprannaturali” – quella stessa tipologia di casistica che sarebbe poi stata oggetto delle investigazioni della Società per la ricerca psichica – e li avrebbe presentati al grande pubblico in un libro.

Diede così alla stampa The Night Side of Nature, un lavoro che ebbe un impatto decisamente notevole sui lettori.

Tuttavia la povera miss Crowe non fu fortunata. Proprio nello stesso anno della pubblicazione del suo lavoro, infatti, nella casa della famiglia Fox, nello stato di New York, incominciarono a manifestarsi degli strani fenomeni paranormali, come colpi e rumori, che si concretizzavano specie in presenza delle due ragazze della casa, le sorelle Kate e Margaret Fox. Trovato un sistema per codificare questi colpi, si venne a sapere che chi agiva era una “entità” spiritica, la quale disse di essere stata in vita un merciaio ambulante e di aver trovato sepoltura proprio nel basamento dove tempo dopo era stata costruita quella casa. (In effetti, nel 1907 nella cantina

dell’abitazione venne davvero portato alla luce lo scheletro di un uomo). Il fatto creò grande scalpore e in un battibaleno nacque lo “spiritismo” che si diffuse con celerità in America ed Europa. Gli scienziati si sentirono, ovviamente, offesi da una simile manifestazione di credulità – confortati in questo dallo smascheramento di non pochi medium truffaldini – e così il grande sforzo, serio e impegnato, di miss Crowe venne completamente vanificato. La delusione fu così forte e tremenda che dopo qualche mese la povera scrittrice incominciò a dare segni di instabilità mentale e dovette trascorrere qualche tempo rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Nei restanti altri sedici anni di vita che le restarono non scrisse più un rigo.

Oggi, a circa un secolo e mezzo dalla sua nascita, lo spiritismo ha smesso di costituire un pericolo per la scienza, trasformandosi in nulla di più di una pseudo religione minoritaria; d’altro canto, a ben guardare, non costituì mai una minaccia per il mondo scientifico. E così è accaduto per qualsiasi altra tematica: non è mai successo che qualche fantasia stregonesca abbia soppiantato un credo scientifico. È per questo che, in fondo, il CSICOP sbaglia quando ritiene che il successo di paragnosti come Uri Geller sia il preannuncio di un ritorno al Medioevo.

In verità, il nucleo forte della faccenda si riconduce a una revisione del pensiero darwiniano, nel senso che l’evoluzione della vita sulla Terra si è sviluppata in modi più complessi ancora. Se le doti paranormali, come la telepatia e la cosiddetta “seconda vista”, esistono veramente, viene quasi spontaneo immaginare si trattasse di doti ampiamente diffuse presso i nostri antichissi>mi predecessori, esattamente come capita di constatare quando si entra in contatto con quei pochi popoli primitivi che ancora esistono sulla faccia del pianeta. Sanderson, per esempio, non esita a riconoscere che alcuni fra gli haitiani che ha conosciuto possedevano una seconda vista. Uno di questi, a proposito del suo viaggio temporale a ritroso, ebbe a dirgli: «Hai veduto delle cose, non è vero? Tu non ci credi, ma sappi che le puoi vedere soltanto se tu lo vuoi». In altre parole, in quel momento Sanderson vivendo quella esperienza non aveva fatto altro che riscoprire le antiche facoltà paranormali dell’uomo.

Nel mio libro L’occulto ho citato molti casi analoghi. Per esempio, quello dell’infallibile cacciatore di tigri Jim Corbett, descritto in Man Eaters of Kumaon, dove il protagonista confessa di essere riuscito col tempo a sviluppare una sensazione che chiama “sensitività della giungla”, grazie alla quale era sempre in grado di avvertire se nelle vicinanze qualche animale

pericoloso stava puntandolo. Va da sé che, se una simile capacità torna quanto mai utile a un cacciatore di tigri in India, non lo è affatto per un agente di borsa di New York. È per questo che l’uomo civilizzato sembra essersi sbarazzato di queste facoltà. Oppure, meglio, l’esaltazione di un’altra facoltà – la capacità di far fronte alle complicazioni della vita civilizzata – ha soppresso la dotazione “paranormale”, perché, in definitiva, questo bagaglio non serviva più.

Ma è per davvero così? Siamo proprio certi che a un agente di borsa la “sensitività della giungla” non serva proprio a nulla? Dopo tutto, non vive forse in un altro genere di giungla, non solo quella degli affari e del commercio, ma anche quella della città, dove le insidie si nascondono ovunque, dalla metropolitana ai parchi pubblici? Il suo problema sembra molto simile a quello che a un tratto spinse Catherine Crowe a diventare isterica, ossia aver permesso alla cosiddetta vita civilizzata di sopraffarla. In parole povere, tutti noi, senza accorgercene, abbiamo smarrito quella fondamentale quanto primitiva forza vitale che invece continua a permanere nella gente che definiamo selvaggia. Ciò che più di tutto si è perduto è il senso della meraviglia, una qual certa base di ottimismo verso il mondo. Il bambino ritiene che il mondo dei grandi sia una realtà magica, piena di avventure senza fine: i bar, le motorette, gli aerei… Gli è difficile, per non dire impossibile, immaginare che una volta cresciuto quel mondo gli si rivolti contro diventando un posto di difficile frequentazione, dove la parola d’ordine dominante è sempre e soltanto una sola: «Nessuno fa qualcosa per niente».

Il problema degli adulti sta invece nel fatto che il loro modo di essere e di porsi nei confronti del mondo è diventato negativo. In altra sede ho ricordato un fatto accadutomi nel 1967, quando mi recai all’Università di Los Angeles per una conferenza. Dopo avrei dovuto incontrami con la mia famiglia a Disneyland. Terminata la conferenza corsi al parco giochi. Avevo scordato quanto fosse grande. Appena entrato, confuso in mezzo a una folla sterminata, mi sentii sperso. Pensai che non avrei mai trovato la mia famiglia. Invece di abbattermi, decisi di assumere un atteggiamento positivo. Dopo tutto la conferenza era andata benissimo ed ero felice. Così mi rilassai, assunsi una disposizione interiore di serenità e mi misi in cammino, lasciando semplicemente che le gambe mi portassero dove l’istinto le guidava. Fu sufficiente percorrere qualche centinaio di metri,

voltare a sinistra ed ecco trovare la mia bella famiglia, intenta a divorare panini in uno stand di cucina messicana.

Appena 48 ore dopo mi trovavo all’Habsburg Empire alla ricerca di un libro che mi interessava. Dopo aver scandagliato ben tre immensi scaffali senza successo, mi arresi. La mattina dopo ero tornato per proseguire la ricerca. Trovai il libro quasi subito e, guarda caso, proprio in uno degli scaffali che avevo visto e rivisto. Perché il giorno prima non l’avevo rintracciato? Perché mi agitavo in uno stato di tensione (avevo una fretta maledetta) e questa condizione mi permetteva solo di vedere ma non di osservare.

Ho notato infinite volte che quando mi trovo in una condizione di sereno rilassamento riesco a venire a capo delle cose con estrema facilità grazie a una specie di “sesto senso”.

Ma mi è capitato di notare anche un’altra cosa persino più interessante: quando sono così tutto sembra filare liscio, senza intoppo alcuno. E logicamente questo non ha nulla a che vedere con me o con il mio presunto sesto senso. Semplicemente accade. Che so: rintraccio una notizia importante proprio il giorno prima di mettere per iscritto un testo su quell’argomento, oppure evito o vivo egualmente bene una qualche esperienza non proprio positiva con un atteggiamento di pura serenità.

Questo è il nostro grave problema: abbiamo trasformato il modo di metterci di fronte al mondo in una questione negativa. Eppure, tutti abbiamo sperimentato come la confidenza, la serenità, la fiducia ci permettano di entrare in una condizione psicologica positiva che prelude all’ottimismo. È un po’ come quando si rompe l’impianto idraulico. Per qualche giorno siamo costretti a svuotare lavandini e vasche con il secchiello. Poi, finalmente, arriva l’idraulico e rimette tutto in sesto. La soddisfazione è enorme, tiriamo un gran sospiro e per almeno le 24 ore successive ci rendiamo conto di quanto sia piacevole e comodo poter disporre di un lavandino con acqua calda e fredda che funziona alla perfezione semplicemente schiacciando una leva. La soddisfazione è così alta che ci fa rendere conto di come, dopo tutto, siamo circondati da un’infinità di semplici cose e oggetti piacevoli: i confortevoli tappetini del bagno, le lampadine, il tostapane efficiente, le porte che si aprono senza cigolare, la televisione che ci informa in tempo reale di quanto succede in giro per il mondo. Il guaio è che siamo ormai così abituati a tutto questo da non farci più caso, spendendo così la maggior parte del nostro tempo a

preoccuparci per delle sciocchezze. Ma la sensazione di benessere dura poco, si ripiomba nel grigiore e nel pessimismo con velocità. L’uomo ha perseguito la civiltà per propria gioia e benessere; ma non se la gode, troppo intento a concentrare ogni sua energia su problemi banali e futili, tanto poco importanti che nel giro di una settimana sono già dimenticati. Per qualcuno questa scarsa lungimiranza, che scatena ansietà, sarebbe un prodotto elaborato dalla parte sinistra del cervello sviluppatasi negli ultimi millenni di storia. (La parte sinistra del cervello è quella che presiede alla logica e al linguaggio; mentre la destra sovrintende alla comprensione e all’intuizione). Il solo modo per sbarazzarci di questa imposizione e tornare, per quanto possibile, alla verginità mentale di un tempo, sta nel non concedere credibilità a tutto quello che quotidianamente la parte sinistra del cervello tende a suggerirci e capire che ciò che più conta è imparare a rilassarsi per cogliere un tipo di consapevolezza più ampia.

Prendiamo in considerazione l’esempio che segue, tratto da un libro intitolato The States of Human Consciousness di C. Daly King. L’autore parla di esperienze che chiama di “consapevolezza” e scrive:

Il primo di loro prese posto sulla piattaforma di attesa di pendolari di una stazione ferroviaria del New Jersey mentre lo scrittore passeggiava avanti e indietro in attesa, in quella assolata mattinata, di un treno che lo portasse a New York. Lungo la piattaforma si notavano alcuni portelli per montacarichi e qualche nuova costruzione realizzata con mattoni dal colore grigiastro. Si sentiva bene sotto l’aspetto emotivo, mentre ripassava mentalmente la serie di telefonate che avrebbe fatto appena arrivato in città, era ben consapevole, attivo e attento, si rendeva ben conto di ogni singolo movimento del suo corpo…

All’improvviso, come d’incanto, l’aspetto di tutto ciò che lo circondava era cambiato. L’atmosfera sembrava essersi rivitalizzata di colpo e d’un tratto le persone che stavano come lui lungo la piattaforma divennero presenze marginali, non più importanti dei cardini delle porte che introducevano alle sale d’aspetto. Ma la trasformazione più straordinaria riguardava i mattoni grigi, perché non c’era impronta di illusione in quella sensazione che era certamente reale e concreta. Essi infatti erano diventati improvvisamente vivi; senza esternare alcuna forma di movimento riuscivano egualmente a trasmettere una sensazione di adattamento e quasi di gioia per il fatto di starsene lì, come se fossero una parte attiva del contesto vitale della scena. Questa visione sconvolse a tal punto lo scrittore da lasciarlo a bocca aperta, in osservazione per alcuni minuti, fino all’arrivo del treno…

La prima cosa da notare è l’osservazione resa con le parole: «Si sentiva bene sotto l’aspetto emotivo, mentre ripassava mentalmente le telefonate…». Ossia, il soggetto si trovava in una condizione di assoluta libertà dalla tensione, in uno stato da “parte destra” del cervello. È a questo punto che accade qualcosa, qualche impercettibile azione o movimento della mente che lo sospinge nella giusta direzione, rendendolo pienamente consapevole che anche degli anonimi e grigi mattoni possono brillare e

vivere di vita propria. Molto significativo è anche il fatto che le altre persone presenti sulla piattaforma di attesa, e che fino a qualche momento prima costituivano il centro della sua attenzione, passino di colpo in secondo piano, perdano di importanza. Una lunga e consolidata abitudine ci ha portato a considerare l’essere umano come il solo centro su cui concentrare le nostre attenzioni. D’altro canto, siamo degli animali socievoli e la nostra condizione di tranquillità e pace dipende in larghissima misura da come riusciamo a inserirci all’interno della comunità sociale che ci ospita.

Non è necessario immaginare che la singolare percezione di mattoni viventi debba per forza considerarsi una esperienza di tipo “mistico”. L’evento sarebbe replicabile se solo fossimo più attenti. Basterebbe osservare con attenzione e pazienza un muro ben allineato alla chiara luce di una mattina di sole. Il problema sta nel fatto che ormai noi non siamo più capaci di osservare. Molto più semplicemente “scannerizziamo”, né più né meno di come fa una cassiera quando aziona il suo strumento per la lettura dei prezzi al supermercato. Ma è sufficiente farsi attirare da qualcosa, qualunque cosa essa sia, e lasciare che la nostra concentrata attenzione vi si rivolga, per accorgerci immediatamente che siamo capaci di entrare in un mondo di sensibilità decisamente superiore a quello normale di ogni momento.

Quello che sto cercando di dire è che il motivo principale per cui dimentichiamo ogni nostra esperienza è dovuto al fatto che nei confronti di ciò che ci circonda siamo soliti agire in modo automatico, direi quasi robotizzato. In altre parole, inseriamo il pilota automatico e lasciamo fare a lui.

E che differenza c’è nello sperimentare un’esperienza autentica, non robotizzata? Soprattutto questa: Daly King si è pienamente reso conto che la convinzione condivisa da tutti noi, e cioè che il mondo che ci circonda sia un luogo ordinario, è un errore. I nostri sensi ci mentono. O meglio: i nostri sensi fanno il loro dovere al meglio. È il nostro atteggiamento, le convenzioni abitudinarie a ridurre la loro testimonianza a qualcosa di ordinario. La sua “visione” dovrebbe aver fatto intendere a Daly King di essere immerso in uno strano circolo vizioso, quello stesso dove la stragrande maggioranza di noi è intrappolato. Ossia nel credere che la realtà che ci ospita sia qualcosa di semplicistico e ordinario; ma anche che quando siamo agitati e stanchi le nostre energie collassano e che questo è per noi

come se una gigantesca nube oscurasse il Sole rendendo il mondo grigio e privo di interesse. È questo senso della normalità del mondo a renderci incapaci di compiere qualsiasi sforzo. La normale tendenza umana – lasciata a se stessa, priva di spinte esterne – è quella di precipitare in uno stato di letargia, come succede ai personaggi di Samuel Beckett che vivono nei bidoni dell’immondizia.

Ma quando riusciamo a lanciare un’occhiata alla realtà – quando, cioè godiamo di quello che per intenderci chiamiamo un “momento di visione” – tutto si capovolge, la realtà si presenta in abiti del tutto diversi. Ci rendiamo conto che se una grossa nube oscura il Sole della nostra sensibilità, è soltanto colpa nostra perché lasciamo che i nostri sensi si attutiscano, si affievoliscano, come le luci di un cinema che si spengono all’inizio della proiezione. Percepire è dunque qualcosa di “intenzionale”. Vediamo le cose grazie a un fascio di luce generato da una dinamo che sta nella nostra testa. Quando siamo affannati e distratti la dinamo lavora soltanto a mezzo servizio e tutto sembra fioco e scuro.

Ma se riusciamo a convincere il nostro inconscio che il mondo al di fuori di noi è affascinante e piacevole – quello che succede, guarda caso, quando ci gustiamo una vacanza – la dinamo lavora a tempo pieno rendendoci in grado di percepire la verità.

Wordsworth parla del tempo così come lo percepiscono i bambini, quando ogni cosa sembra «rivestita da una luce celestiale». Questo perché il bambino si rende conto che fuori di lui esiste e palpita un mondo di infinite meraviglie e fa sì che la sua dinamo interiore funzioni sempre alla massima velocità. Un uomo incomincia a morire quando si lascia intrappolare dal circolo vizioso di cui abbiamo parlato e quando si convince di aver “visto tutto”. E fintanto che non accade qualcosa di esterno che lo spinge a cambiare atteggiamento si lascia scivolare lentamente in una specie di palude di noia e di “tutto dovuto” che alla resa dei conti non fa che ingolfarlo impietosamente. (Questo, per esempio, potrebbe essere uno dei motivi per cui molte persone muoiono non appena, smesso di lavorare, vanno in pensione, paradossalmente in un momento che avevano sognato chissà da quanto tempo).

Ora, a quanto pare, l’umanità si trova su un binario evolutivo estremamente interessante. Il primo passo per cercare di uscire dal “circolo vizioso” è riconoscere che l’apparente “ordinarietà” del mondo è un’illusione, un inganno. Se riusciamo a comprendere che il mondo esterno

è qualcosa di continuamente strabiliante, allora la palude della normalità, del tutto scontato non potrà mai più inghiottirci nella sua immota fanghiglia, consentendoci di diventare imbattibili. Nel libro Back to Methuselah, parlando dei suoi “vecchi”, Shaw scrive: «Persino in punto di morte la vita non è venuta loro meno». La “mancanza della vita” è quel sentimento che ci dice che non c’è mai nulla di nuovo sotto il Sole e che tutti dobbiamo cedere le armi al cospetto della fine. Insomma, quando riusciremo a imparare come far funzionare a pieno regime la nostra dinamo, questa illusione ci abbandonerà per sempre né sarà più in grado di esercitare il suo nefando potere su di noi.

Ed ora concedetemi di esprimere quello che penso a proposito dell’esistenza umana. L’uomo è costituito da un corpo estremamente complesso, un “computer” che ha impiegato milioni di anni per evolversi sotto il controllo superiore di un’entità che possiamo chiamare anima, spirito o come ciascuno di noi preferisce. Ma immaginare che sia soltanto lo spirito a governare una macchina tanto complessa è un po’ come pretendere che un neonato sia in grado di guidare una Rolls-Royce. Vorrebbe dire perdere almeno il 90% delle sue potenzialità.

Oltre tutto, si tratta di qualcosa di troppo “pesante”, se così possiamo dire, per poterla gestire in modo confortevole. Trascinarci dietro questo corpo massiccio e pesante ci mette nelle stesse condizioni di un astronauta catapultato su di un pianeta dove la gravità è molte volte più alta della Terra e non potendo stare in posizione verticale è costretto a trascinarsi su braccia e ginocchia pur ricorrendo a tutte le forze disponibili. Ma appena viene rivitalizzato da qualche energia esterna ecco che per un attimo – seppure un attimo soltanto – riesce persino a mettersi in piedi. In questa condizione il nostro astronauta comprende allora ciò che deve fare: sviluppare ulteriormente la potenza dei suoi muscoli, sia quelli fisici che, ovviamente, quelli mentali.

È esattamente quello che mi è capitato: tutte le volte che ho patito una qualche crisi sono sempre riuscito a trovare dentro di me una risposta, rendendomi conto che se avessi la possibilità di essere sempre “galvanizzato” come nei momenti di grave difficoltà sarei in grado di attingere a un grado di consapevolezza senza dubbio superiore. Purtroppo, non è così. Il problema sta nel fatto che, una volta superato il momento di crisi nel quale attingiamo a tutte le nostre risorse, ci dimentichiamo troppo in fretta della sensazione di urgenza e riprecipitiamo nella piattezza del grigiore di ogni giorno, una specie di obnubilamento in cui tutto si fa più

difficile, una collinetta diventa una montagna inaccessibile e la mente si adagia in una curiosa apatia che rende tutto piatto e privo di stimoli e motivazioni. In verità, siamo così assuefatti a vivere in questa condizione da accettarla senza discussione come assolutamente standard. Solo quando ci accingiamo a qualche viaggio – mentale o fisico – riusciamo a tirar fuori tutte le nostre vere e più autentiche potenzialità.

La risposta consiste nel generare (ricorrendo alla volontà e alla determinazione) una maggior dose di immaginazione, un più forte senso della realtà, che ci renda capaci di riconoscere il mondo come una sfida e una giungla di problemi continui da affrontare e risolvere, ponendoci, in definitiva, in una perenne condizione di “carica” galvanizzante. È del tutto assurdo che un uomo seduto nello scompartimento di un treno e nel pieno possesso delle sue facoltà mentali passi tutto il tempo del viaggio a guardare passivamente fuori dal finestrino, mentre la sua mente custodisce una biblioteca tanto vasta di passate esperienze da poterlo intrattenere non solo per la durata del viaggio, per quanto lungo sia, ma per anni interi.

In questa dimensione, adesso comprendiamo meglio come mai ci affanniamo tanto a cercare di passare il nostro tempo tra sfide e stimoli continui: dall’alcol alle droghe, dal sesso all’avventura, allo sport. Tutta questa frenesia non è che un patetico tentativo di proiettarci al di là delle limitazioni di cui tanto ho detto. È evidente che solo quando riusciremo a identificare e a fronteggiare il problema di fondo saremo in grado di compiere i passi decisivi per risolverlo. Non ci abbatteremo più e la nostra esistenza sarà serena, perché lo scoramento non avrà più presa su di noi. La via d’uscita per abbandonare la trappola che da millenni continua a opprimere l’essere umano finalmente si spalancherà davanti ai nostri occhi.

Il lettore capirà dunque il perché della mia intolleranza nei confronti di tutti coloro che cercano di convincerci che l’universo è un posto logico e perfettamente razionale e che considerano qualsiasi forma di opposizione a questo modo di pensare un ritorno alla condizione di superstizione medievale.

Da parte mia sono anche disposto ad affermare che i fenomeni di poltergeist possono anche non essere così importanti, come gli slittamenti temporali o le precognizioni o i viaggi fuori dal corpo, e immaginare che coloro che si mostrano come invasati dal paranormale siano altrettanto deviati quanto chi è ossessionato dal football o smania per le soap opera. Ma sono anche il primo a riconoscere che questi fenomeni rappresentano soltanto una piccolissima fetta del vasto panorama di stranezze con il quale

abbiamo da confrontarci se solo avessimo la forza di liberarci da vecchie frustrazioni e consuetudini nello sforzo continuo e incessante di sollevare quella cortina di quotidianità che ci circonda e permea senza pietà.

Ammesso che un libro debba avere una giustificazione, questo intende porsi come un modesto tentativo di lanciare qualche nuova occhiata a tutto quello sconosciuto mondo di singolarità e stranezze che sta al di là del sipario.

Creative Commons Licence
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
The following two tabs change content below.
  • Bio
  • Ultimi Post
Il mio profilo Facebook

William Rupzo

William Rupzo è un Esoterista ed un Biohacker, esperto in arti magiche. È consulente ed editor di Rupzo.com.
Il mio profilo Facebook

Ultimi post di William Rupzo (vedi tutti)

  • Il Mistero di Atlantide - Febbraio 12, 2022
  • Misteri Irrisolti - Febbraio 11, 2022

Correlati

Archiviato in:Rupzo & Co. Contrassegnato con: misteri irrisolti

Interazioni del lettore

Lascia un commento Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Barra laterale primaria

Iscriviti a Rupzo.com

Canale YouTube di Rupzo

youtube-logo-black-ok

Instagram di Rupzo

instagram-black-logo-ok

Disclaimer e Informativa Privacy

Leggi il Disclaimer di Rupzo e la sua Informativa Privacy.

Copyright © 2022 · Rupzo.com - Creative Commons Licence
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.

Gestisci Consenso Cookie
Usiamo cookie per ottimizzare il nostro sito web ed i nostri servizi.
Funzionale Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici. L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.
Gestisci opzioni Gestisci servizi Gestisci fornitori Per saperne di più su questi scopi
Preferenze
{title} {title} {title}