Quali rapporti ci sono tra Meccanica Quantistica e Parapsicologia?
Quasi la totalità degli uomini di scienza che studiano attualmente i fenomeni più rilevanti della parapsicologia si riferiscono alla teoria dei quanti e ai suoi ultimi sviluppi.
Gli esperimenti sovietici e americani degli anni ’70 ed ’80 hanno rivelato che la natura delle onde emesse nel corso delle trasmissioni telepatiche non è semplicemente elettromagnetica.
Gli esperimenti di telecinesi, riconosciuti e derivata classicamente da scienziati sovietici e americani di grande notorietà, come A. P. Dubrov e J. Eccles, mettono in evidenza l’azione di campi di energia diversi dai campi elettromagnetici classici.
La maggior parte dei fenomeni di rilievo in parapsicologia hanno origine da campi gravitazionali e da forze forse ancora sconosciute di energia gravitazionale.
Che si tratti di magnetoni o di monopoli magnetici o di corpuscoli di tempo extraspaziotemporali, le sole ipotesi valide emesse per darne una spiegazione fanno intervenire la meccanica dei quanti insieme ai numeri immaginari o ipernumeri, familiari ai teorici della meccanica quantistica.
Sia la teoria delle transizioni virtuali del fisico David Bohm, sia le ipotesi del matematico C. Musès della Columbia University, sia le ricerche sui campi bio-gravitazionali del biologo e fisico sovietico Dubrov, e quelle di molti altri ancora, fanno riferimento alla meccanica quantistica. Ci sembra perciò indispensabile fornire una visione panoramica e sommaria di questa teoria.
La radiazione emessa dai corpi solidi incandescenti risulta inspiegabile per i principi e le leggi della fisica se la si guarda dal punto di vista della propagazione continua. Se invece si ammette l’ipotesi di una distribuzione discontinua dell’energia, sotto forma di pacchetti indivisibili, i problemi scompaiono.
Qualsiasi distribuzione di energia avviene mediante piccole quantità indivisibili: questi sono i quanti. Il quanto di energia ha per valore hv, ove h è la costante di Planck ed v la frequenza della radiazione.
La teoria dei quanti conobbe nuovo vigore quando il fisico danese Niels Bohr, Premio Nobel per la Fisica, l’adottò nel 1913 come fondamento di una nuova teoria in grado di spiegare validamente la stabilità degli atomi.
La teoria di Bohr era in grado di interpretare l’emissione delle righe dello spettro e di predirne alcune ancora sconosciute. Gli esperimenti successivi confermarono la fondatezza della teoria dello scienziato danese e i fisici la adottarono.
La teoria dei quanti è applicata in tutti i campi della fisica atomica e dell’ottica e ha rimpiazzato completamente le precedenti teorie classiche dell’elettromagnetismo.
La meccanica quantistica non è rimasta immutata nella sua esposizione iniziale: col passare degli anni è stata via via modificata. Al fine di afferrarne in modo intuitivo le linee fondamentali, cercheremo di schematizzare alcuni fenomeni ottici molto semplici evitando qualsiasi formula. È innanzitutto necessario definire i concetti di frequenza, lunghezza d’onda e ampiezza ed evidenziare i legami che li uniscono.
Consideriamo dapprima due assi perpendicolari xx ‘ e yy’ e una circonferenza avente centro in O e raggio A.
Immaginiamo un punto mobile M, che si sposta sulla circonferenza a velocità costante nella direzione indicata dalla freccia. Il punto M compirà una rotazione completa nel tempo / ed essendo la sua velocità v supposta sempre identica, il numero di giri da esso compiuti nell’unità di tempo aumenterà se esso si sposterà su una circonferenza più piccola, in quanto la lunghezza percorsa è minore e la velocità uguale.
Supponiamo che alla partenza il punto mobile sia in M) e che si sposti raggiungendo, successivamente, i punti M2, M3, e così via.
Se proiettiamo ad ogni istante l’immagine del punto in movimento sull’asse yy’ parallelamente all’asse xx’, otterremo sull’asse yy’ una successione di immagini proiettate che dànno l’immagine di un moto di va e vieni tra i punti estremi M3 e M7 del diametro del cerchio O.
Il movimento compiuto dalle proiezioni P, P2, P4 ecc. del punto mobile M mentre esso compie una intera rotazione si chiama oscillazione e il sistema è un oscillatore. Se diamo a tale oscillatore una velocità v2 uniforme nella direzione AB, le proiezioni P del punto mobile M descriveranno nello spazio un movimento ondulatorio (v. disegno a p. 145). Quando il punto M avrà compiuto una rotazione completa, la traiettoria descritta nello spazio dalle sue proiezioni P rappresenterà un’onda. La designeremo con la lettera greca lambda (A).
Quando il punto ha compiuto una rotazione completa, si dice che ha percorso un periodo. La frequenza v definisce il numero di rotazioni 0 periodi compiuti nell’unità di tempo: si preferisce utilizzare l’unità di misura del periodo al secondo. L’ampiezza è definita dal raggio A della circonferenza. La lunghezza d’onda A sarà tanto più piccola quanto più grande è la frequenza v. In questo caso, a parità di velocità \l e v2, l’ampiezza A dovrà essere molto piccola.
Riassumendo, un moto ondulatorio proviene dalla sovrapposizione di due movimenti distinti: uno periodico e l’altro rettilineo uniforme, rappresentato dal segmento AB.
Questo modo di rappresentare i fenomeni ondulatori non riflette la realtà, ma permette di spiegare intuitivamente il comportamento degli elettroni all’interno di un sistema atomico. Con esso potremo chiarire le ragioni per le quali è stata abbandonata la teoria elettromagnetica classica per quella dei quanti.
Si prenda, ad esempio, un atomo di idrogeno. Si tratta del più semplice degli elementi, costituito da un nucleo centrale avente carica positiva attorno al quale ruota un elettrone caricato negativamente.
I fisici, per un certo tempo, hanno paragonato l’atomo a un sistema solare estremamente ridono poiché occorrerebbe allineare oltre dieci milioni di atomi per formare un millimetro. Hanno poi immaginato che l’elettrone ruotasse attorno al nucleo centrale come un pianeta attorno al Sole. Nella rotazione attorno al nucleo, l’elettrone è un oscillatore.
L’elettromagnetismo classico insegna che ad ogni emissione ondulatoria si ha una dispersione dell’energia interna del sistema, cioè, in sostanza, una diminuzione costante.
A tale diminuzione corrisponde una riduzione costante del raggio della circonferenza, cioè l’ampiezza. Pertanto, la traiettoria dell’elettrone non sarebbe più una circonferenza, bensì una spirale e alla fine l’elettrone dovrebbe cadere sul nucleo.
Ma ciò non accade. Nell’atomo non si rilevano processi di invecchiamento o emissioni luminose.
I fisici si trovarono così nell’alternativa o di rigettare il modello atomico adottato finora, o di abbandonare le teorie dell’elettromagnetismo classico. A questo punto Niels Bohr ha definito una nuova teoria, che si ispira alla meccanica quantistica di Max Planck, secondo la quale gli scambi di energia fra materia e irradiazione, su scala atomica, avvengono per quantità discrete: i quanti.
La teoria di Niels Bohr dice che l’elettrone può ruotare intorno al nucleo solamente percorrendo alcune orbite stabili (figura 4: Ei, E2, E3…) a ciascuna delle quali corrisponde un livello energetico ben definito e differente. Fino a che l’elettrone percorre la stessa orbita, non vi è emissione di energia; ma dal momento in cui per un motivo qualsiasi, l’elettrone passa da un’orbita all’altra si ha emissione di energia, che si manifesta sotto forma di onde elettromagnetiche o di luce.
Queste ipotesi permettono di spiegate la stabilità dell’atomo.
La minima variazione di energia necessaria perché vi sia emissione di un’onda elettromagnetica viene chiamata “quanto“.

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